La casa che ancora non abbiamo. Vivere in montagna

Pensare alla CASA CHE ANCORA NON ABBIAMO significa indagare gli obiettivi che si pone oggi la ricerca del progetto d’architettura, dai sui tratti estetici caratteristici all’idea di abitare

La casa che ancora non abbiamo. Vivere in montagna 1

La CASA che avrà come obiettivo la qualità di vita per l’uomo, la tutela del contesto ambientale e la ricerca formale di linguaggio, per diventare una presenza in perfetta armonia con il luogo e gli interventi edilizi esistenti e storicizzati presenti nel contesto di paesaggio urbano o naturale in cui si dovrà inserire, diventando così modello di CASA DEL FUTURO.
Modelli che saranno una perfetta sintesi fra forma e tecnica costruttiva, nati dalla conoscenza della storia architettonica che ci ha preceduto e dall’ideale di tutela della natura su cui andranno ad insistere. Tali caratteri daranno vita a progetti d’architettura che non saranno mai incerti, frenati o imposti bruscamente sul contesto di riferimento, ma sempre alla ricerca di un equilibrio, linguistico, materico, climatico, sociale e di comfort con esso.

Si avrà una NUOVA CASA che si andrà ad amalgamare con le preesistenze storico-architettoniche e paesaggistiche vicine, senza emularle ma ricercando in esse i termini di partenza della propria forza identificativa interpretandone i riferimenti come caratteri fondanti e fondamentali, punto d’inizio per scrivere i principi della casa che ancora non abbiamo ma che VORREMMO.

Questa ricerca è un fenomeno in continuo divenire che permette l’analisi e la riscoperta di caratteri e principi d’IDENTITÀ, individuale, ambientale e sociale ed ETICA progettuale, che in un panorama sociale complesso e difficile come quello presente, permette di riscoprire l’importante ruolo dell’architettura, quale azione che l’uomo compie nel contesto trasformandolo per costruirsi un riparo e lasciare traccia di sé. Obbligando ad una riflessione verso il futuro a cui l’attuale società si accosta faticosamente, in particolare nel rispetto ambientale della riduzione di risorse non rinnovabili, come il suolo, l’energia fossile e l’acqua.

I nuovi progettisti, che come esercizio universitario, iniziano la loro carriera COMPONENDO per la prima volta un’abitazione, attraverso la genuinità di pensiero che li distingue, i puri ideali del vivere e abitare la propria casa, come esperienza umana viscerale, intima ed infantile che li accompagnerà sempre come traccia emotiva nell’inconscio, sono riusciti ad elaborare differenti ed innovativi modi d’interpretare ed intendere la casa che ancora non abbiamo, tradotte concretamente in riflessioni teoriche ed esperienze pratiche.

In particolare i risultati progettuali del Laboratorio di Progettazione Architettonica 1A del Dipartimento di Architettura dell’Università degli Studi di Ferrara, che si sono confrontati con il tema del  VIVERE IN MONTAGNA progettando un’abitazione in un lotto nella località montana di Tesselberg/Montassilone [BZ]. Progetto di abitazione unifamiliare di 130 mq, pensata per quattro persone, che preveda la presenza di almeno due stanze da letto e due bagni oltre il soggiorno e il pranzo, e uno spazio specialistico dedicato alla famiglia, ad un componente in particolare o ad una attività di tipo commercialie-ricettiva-ricreativa pubblica connessa con l’esterno, a discrezione del discente, per la quale si prevede un locale di dimensione massima 90 mq. Sviluppando un approfondimento che va dall’inserimento della casa nel lotto, alla scelta tipologia-morfologia fino al dettaglio tecnico costruttivo dell’edificio.

Si sono aperte riflessioni sull’approccio microurbano nel contesto naturale, reale, come stimolo al tema cardine ovvero la composizione della casa, la sua forma, la costruzione e le relazioni con la vallata e la montagna, e le vicine presenze di case dai tratti tradizionali e la vicina chiesa con il suo campanile, identificativi di tradizione e di memoria.

Per trasmettere una prima suggestione delle singole idee di progetto, sono state richieste tre parole evocative di atmosfere, emozioni, forme, funzioni e relazioni. Alcune sono state: tranquillità, benessere, silenzio, libertà, paesaggio, isolamento, rifugio, minimo, turismo, autosufficienza, conservazione delle risorse, sole, luce, aria, acqua, ecc. E pensando al più stretto rapporto con la montagna e alla matericità del costruito: freddo, caldo, duro, morbido, leggero, pesante, aperto, chiuso, semplice, ecc. Riferimenti che hanno dato origine a oltre quaranta progetti d’architettura.

La casa che ancora non abbiamo. Vivere in montagna 2

Sito di progetto presso Tesselberg/Montassilone [BZ]. @ Università degli Studi di Ferrara | Dipartimento di Architettura | a.a. 2015/16

Casa e committente

Quindi il primo passo che i ragazzi hanno maturato riguarda il capire quale fosse la loro IDEA DI CASA o quella che nel progetto desideravano sviluppare, declinata al VIVERE IN MONTAGNA.

Interessante l‘iniziale considerazione che hanno posto sul solo termine CASA, analizzando i due differenti valori che la parola porta in sé, e che in inglese si distingue in due termini specifici, HOUSE e HOME, ovvero la casa come luogo in sé da abitare, con una specifica forma, organizzazione e funzioni ed il secondo inteso come ambiente, famiglia, vita, quale dato spirituale generato dal clima di socialità del vivere, e dal carico emotivo che ad essa vuole essere attribuito e/o che viene ricercato, comprendendo il concetto di famiglia come nucleo e nido, nel quale ritrovarsi e riconoscersi.

E quindi la ricerca di quella che sarà LA PROPRIA CASA come incontro e legame indissolubile fra il dato oggettivo costruito e quello spirituale umano. Infatti parlare della propria casa fa riferimento, sia alla casa in se sia a chi la abita, ed assume caratteristiche diverse in base alle esigenze e gli intendimenti del committente, diventando così cosa propria, intima ed unica, quasi a trascendere il concetto di abitazione a quello di corpo umano, diventando identificativa di colui o coloro che la vivranno.

I ragazzi hanno immaginato di DEDICARE la loro abitazione a creativi, come artisti, musicisti, architetti, fotografi oppure artigiani dell’arte del legno, della sartoria, ipotizzando anche la presenza di laboratori privati aperti al pubblico, anche di tipo commerciale, come un piccolo mercato di rivendita di prodotti di agricoltura biologica, servizi sportivi e ricreativi come palestra o spa, oppure spazi ricettivi per il pernotto e la prima colazione. Questo è stato determinante per scegliere il primo approccio di aprirsi o chiudersi al contesto sociale, facendo diventare la casa o luogo strettamente intimo di rifugio, oppure ambiente disposto ad aprirsi simbolicamente all’esterno.

La casa che ancora non abbiamo. Vivere in montagna 3

Estratto del progetto elaborato da Michele Gentile. @ Università degli Studi di Ferrara | Dipartimento di Architettura | a.a. 2015/16

La casa che ancora non abbiamo. Vivere in montagna 4

Architettura

Conseguente, quindi, la ricerca dell’IDENTITÀ dell’architettura rappresentativa del committente, in particolare attraverso l’interpretazione del tema della CENTRALITÀ come uomo o ideale di famiglia, rivelato dai nuovi caratteri dello spazio costruito.

Primigenia, la definizione del rapporto con lo spazio esterno, naturale o artificiale sul quale s’imposta la residenza. Luogo pubblico o privato, di percorrenza o di negato accesso, dalle grandi dimensioni controllate o libere dal quale comunque è percepibile un effetto centripeto o mimetico dell’uomo e/o dell’oggetto edilizio. Spazio dal quale l’uomo può selezionare le prospettive visive dirette verso la natura. Piano costruito o piano verde naturale, che svolge sempre una funzione di connettivo visivo o percettivo con l’intorno di montagna, bosco e vallata.

Infatti l’abitazione come nel progetto di Michele Gentile si pone su una base artificiale semplice monolitica, su cui s’imposta la casa pensata come unico e compatto corpo parallelepipedo regolare, oppure organizzata come un piccolo villaggio, articolato in due o più volumi semplici, come nel progetto di Giulia Margotti, nel quale lo spazio esterno pubblico che svolge la funzione piazza alberata, diventa il connettivo per accedere alle singole e minime unità che ospitano distintamente specifiche funzioni. Unità pensate come solidi semplici e compatti, oppure con caratteri che ritrovano i riferimenti delle morfologie edilizie presenti nell’intorno.

La casa che ancora non abbiamo. Vivere in montagna 5

Estratto del progetto elaborato da Giulia Margotti. @ Università degli Studi di Ferrara | Dipartimento di Architettura | a.a. 2015/16.

La casa che ancora non abbiamo. Vivere in montagna 6

Spazio esterno inteso anche come corte verde e/o pavimentata ipogea, della forma quadrangolare, di circa 20 ml x 12 ml, su cui si affaccia la casa, come nel progetto di Marianna Foschi. In cui l’abitazione si sviluppa linearmente su di essa, come un organismo unico a due piani a ricalcare parte dei limite del nuovo spazio pubblico ed al contempo intimo, non percepibile dall’esterno. Ai vertici del corpo costruito gli innesti d’ingresso pedonale e carrabile per una comunicazione e percorrenza diretta, della corte privata con l’esterno, senza soluzione di continuità. Una centralità e dominio visivo dell’intorno in particolare della montagna e del bosco. Corte che si rivela come un nido abbracciato dalla collina. Qui l’architettura ricerca una duplice relazione, rivelata dalla sezione, a piano primo, nascosto nel livello affacciato al grande giardino si crea una continuità diretta con lo spazio privato, naturale ipogeo, come fosse un rifugio nascosto ed isolato aperto esclusivamente per gli abitanti verso il bosco sovrastante, mentre al livello superiore l’abitazione, si apre in direzione opposta e si mostra pubblicamente a cercare una relazione visiva con la vallata.

La casa che ancora non abbiamo. Vivere in montagna 7

Estratto del progetto elaborato da Marianna Foschi. @ Università degli Studi di Ferrara | Dipartimento di Architettura | a.a. 2015/16

La casa che ancora non abbiamo. Vivere in montagna 8

Oppure la collina rimane uno spazio verde incontaminato con la sua naturale conformazione orografica, in cui l’edificio, si adagia, oppure s’impone come oggetto sospeso o torri, comunque attraversabili e penetrabili al piano naturale di riferimento, organizzato su piloti o piccoli setti portanti che servono per sostenere volumi sospesi, fluttuanti su di esso, lasciando il piano di campagna libero affinché s’intrecciano relazioni umane e naturali più pubbliche. Soluzioni nelle quali l’edificio è protagonista insieme a colui che lo abita influenzandone i caratteri.

In tutte le soluzioni architettoniche proposte e che interpretano il VIVERE IN MONTAGNA, si riscontra direttamente o indirettamente il tema del RIFUGIO, sia perché lo stesso termine, montagna, rievoca gli archetipi di avamposti e bivacchi tipici di chi percorre questi paesaggi, sia come risposta concettuale ed intima ad una realtà sociale che si lega alla necessità di ritrovare la propria personalità a fronte di una quotidianità che obbliga ad un agire dinamico, veloce e virtuale, che riduce sensibilmente la qualità dei rapporti sociali ed umani, in primo luogo con noi stessi. Si è sempre più rivolti a creare uno spazio sicuro, prima sotto il profilo psicologico e poi fisico nel quale si comunica l’individuale volontà di isolarsi. Spazi lontani da ogni fatto umano, pensati per un vivere contemplativo, conoscitivo e salutaristico. E proprio la montagna, con i suoi paesaggi incontaminati, trascende questi significati che non è possibile trascurare.

Il progetto di rifugio sarà interpretato architettonicamente, in differenti modi, che si rivelano nelle forme della casa e le relazioni fra l’interno e l’esterno. In ogni soluzione vi è un desiderio di approcciarsi al contesto, ma si può bene distinguere la volontà o di mimetizzarsi con esso scegliendo tipologie ipogee o forme dal basso impatto ambientale che con gradi aperture consentono una percezione diretta degli spazi verdi come flusso continuo. Oppure attraverso un approccio puramente visivo in cui la forza si rivela dalla direzionalità della vista, la possibilità di traguardare orizzonti opposti e vivere queste emozioni ad una quota che non permetta mai di scorgere cosa sta accadendo nella residenza seppur questa, dall’interno, è totalmente o parzialmente permeabile alla vista.

Una continuità con il paesaggio e la tradizione si rivela nel progetto di Matteo Fustini dalla forza dell’archetipo della copertura che in rapporto alle sue proporzioni e la prossimità con il terreno collinare, è generatrice di nuove tensione, grazie anche il distacco con la terra dato dall’involucro vetrato e continuo, che consente percettivamente di unire lo spazio abitato e la terra di montagna in un unicum. Si rivela un’armonia data dall’interpretazione della tradizione simboleggiata dalla copertura, che cela al suo interno uno spazio libero e continuo che si adagia all’irregolarità superficiale del terreno. Questo posizionando gli ambienti anche su più livelli, per raccordarsi con il terreno, di cui le ultime stanze si trovano nella parte più alta di questo grande involucro materico, e cromaticamente vicino ai colori della terra, ad indicarne l’appartenenza al luogo. Forza generatrice che viene rafforzata dalla forma della pianta, la quale partendo da un rettangolo semplice si piega leggermente a creare due parti asimmetriche e genera una corte accennata che trasmette un senso di accoglienza verso l’interno e agli ambiti naturali esterni ad esso confinanti. Corpo delle dimensioni di circa 22 ml x 8,30 ml, in cui il senso di centralità del committente si rapporta al senso di appartenenza primigenia al luogo.

La casa che ancora non abbiamo. Vivere in montagna 9

Estratto del progetto elaborato da Matteo Fustini. @ Università degli Studi di Ferrara | Dipartimento di Architettura | a.a. 2015/16 

 La casa che ancora non abbiamo. Vivere in montagna 10

Un forte protagonismo dell’architettura si percepisce nel progetto di Ilaria Lusa in cui è evidente la volontà di creare un corpo unico sospeso di parallelepipedo semplice e compatto, dalle dimensioni in pianta di 19,39 ml x7,5ml, che funziona come un profilo di cannocchiale traguardabile nelle due direzioni. I servizi posti centralmente consentono di fruire liberamente tutta la lunghezza senza interruzioni. Permettendo di passare dalla splendida visuale della vallata del soggiorno, a quella del bosco che apre sulle camere, semplicemente ruotando il proprio corpo a 180°. Viste incorniciate da una superficie matericamente continua e uniforme, che termina ai due estremi con membrane vetrate e  trasparenti che sembrano estratte dallo stesso involucro materico. Due piccoli spazi intimi, aperti sulla natura ma direttamente inaccessibili. La conformazione e la suddivisione dei singoli elementi vetrati consente di ottimizzare gli apporti energetici estivi ed invernali, vista la possibilità di essere alternativamente chiusi o aperti a favore del clima estivo ed invernale. Sarà quindi garantita la qualità di vita all’interno, dalla ricerca spaziale e di atmosfera, attraverso la forma, ma anche per la qualità di microclima favorevole che si genererà. Il corpo principale dell’edificio si appoggia staticamente sull’involucro portante dell’ambiente dedicato ad un’attività pubblica non direttamente connessa alla casa, la quale sarà accessibile solo da una scala aerea esterna a rafforzare la sua percezione di volume direzionato e fluttuante nell’aria.

La casa che ancora non abbiamo. Vivere in montagna 11

Estratto del progetto elaborato da Ilaria Lusa. @ Università degli Studi di Ferrara | Dipartimento di Architettura | a.a. 2015/16. 

La casa che ancora non abbiamo. Vivere in montagna 12

Uno dei progetti più complessi, in cui sono stati tradotti tanti valori con equilibrio, linearità e chiarezza è quello di progetto di Maria Teresa Mollo. A volte l’architettura non si compone solo di edifici semplici a corpo unico, ma la loro struttura si articola in differenti parti, quasi a tessere un più complesso, ma sempre lineare racconto, congiunto da piani che diventano sostegno grammaticale e statico. Arricchendo l’architettura non solo di tradizionali spazi confinati ma anche di luoghi d’ombra, a differente temperatura, gradevoli e vivibili, specialmente in estate in cui l’abitare fra un dentro e un fuori viene confuso, visto il diretto ma protetto approccio alle montagne e alla vallata. Spazialità che mitigano l’ingresso ai piccoli nuclei abitativi, sospesi nel vuoto, le cui dimensioni di 7,20 ml x 7,20 ml delle camere, o 12 ml x 6 ml degli spazi giorno, sono organizzati in forma libera al fine di rendere continue e funzionali le loro accessibilità per un migliore uso della casa, senza trascurare una relazione di continuità con gli edifici vicini esistenti. Includendo una connessione a diversi livelli dell’abitato, con la strada e la collina, permettendo la più ampia permeabilità ed accessibilità alla casa. Condizione che si rivela nell’alternanza, plastica, ricca e controllata, dei piccoli solidi, piani di sostegno, vuoti e nuove essenze arboree. Il verde ritorna in copertura, a restituzione di quello tolto al suolo, riducendo l’impatto ambientele su di esso. Le alberature, esistenti o progettate, interagiscono con i piani e/o i singoli corpi edilizi diventino con essi un tutt’uno. La matericità diventa il più chiaro riferimento alla tradizione nell’uso della pietra, ma applicata ad una innovativa forma di abitare.

La casa che ancora non abbiamo. Vivere in montagna 13

Estratto del progetto elaborato da Maria Teresa Mollo. @ Università degli Studi di Ferrara | Dipartimento di Architettura | a.a. 2015/16. 

La casa che ancora non abbiamo. Vivere in montagna 14

La casa che ancora non abbiamo. Vivere in montagna 15

Conclusioni

Sono tre anni che il laboratorio segue questa ricerca progettuale, ed i suoi intendimenti ci rivelano sempre di più quanto il tema rivelato nel titolo non sia una questione che riguarda il presente quanto il futuro, come domanda che ci porremmo per sempre. Ciascuno di questi esempi raccontati e qui rappresentati ci dimostra quanto può essere diversificato l’approccio all’abitare un medesimo luogo oggi, ma tutti hanno un medesimo intento quello di creare un edificio d’architettura in grado di garantire a chi vi andrà a vivere una condizione di benessere, equilibrio e piena soddisfazione, accogliendo così quella naturale esigenza del’uomo di vivere in uno spazio proprio, contestualizzato, generato dalla riflessione sulle regole di una tradizione che traduce e porta con sé la conoscenza del proprio luogo, nelle sue forze naturali e nei materiali che è in grado di offrire, generando così un’abitare sostenibile, che trova una risposta concreta alla qualità di vita favorendo le future generazioni, nel rispetto del consumo delle risorse naturali disponibili.

Laboratorio di progettazione architettonica 1A

Università degli Studi di Ferrara | Dipartimento di Architettura

Docenti

Composizione architettonica | Prof. Andrea Rinaldi

Teorie della ricerca architettonica contemporanea | Prof. Valentina Radi

Disegno dell’architettura | Prof. Federica Maietti

Supporto alla didattica | Prof. Christian Schwienbacher

Collaboratori | arch. Sara Codarin, Hanna Maroz [tutor]

* Valentina Radi | Architetto. Dottore di ricerca in Tecnologia dell’Architettura, afferisce alla sezione Architettura del Centro Architettura>Energia dell’Università di Ferrara

Consiglia questo approfondimento ai tuoi amici

Commenta questo approfondimento



Tema Tecnico

Le ultime notizie sull’argomento



Secured By miniOrange