Agenda 2030: goal 5, uguaglianza di genere e lavoro, in Italia siamo indietro

A che punto è l’Italia nel garantire uguaglianza di genere? I dati mostrano un quadro a tinte fosche. Le indicazioni del PNRR fanno ben sperare, ma va fatto ancora molto, anche in edilizia

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Agenda 2030: goal 5, uguaglianza di genere e lavoro, in Italia siamo indietro

Sull’uguaglianza di genere e sul lavoro siamo ancora lontani da una condizione ottimale. Sebbene nel mondo si siano fatti progressi sul Goal 5 riguardo a parità di genere e nell’emancipazione delle donne, purtroppo discriminazioni e violenze sono all’ordine del giorno. Raggiungere la gender parity ed emancipare tutte le donne e le ragazze dovrebbe essere “la condizione necessaria per un mondo prospero, sostenibile e in pace”, evidenzia l’ONU.

Come sottolineato dal Global Gender Gap Report 2022 la parità di genere non si sta riprendendo. Serviranno altri 132 anni per colmare il divario di genere globale. L’aggravarsi delle varie crisi ostacola il percorso. Qualche parziale buona notizia arriva dalla transizione energetica, ma anche in questo caso c’è parecchio da fare.

La situazione è sensibilmente migliore in Nord America, dove ci vorranno 59 anni per colmare il divario. In Europa, seconda, servirà un anno in più, anche se le differenze si notano tra Paesi. Il Vecchio Continente conta su Islanda, Finlandia e Norvegia che si posizionano ai primi tre posti al mondo, contando anche su Svezia (quinta) e Germania (decima) nella top ten mondiale, ma sconta anche la pessima posizione di realtà come l’Italia, al 63esimo posto. Il nostro Paese è messo male, specie se si guarda alla classifica in materia di “partecipazione economica e opportunità”: qui scende al 110° posto.

I motivi per questo posizionamento sono diversi, ma basta andare a vedere la situazione lavorativa e il contesto in cui si trovano le donne oggi per comprendere che c’è ancora molto da fare in Italia.

Donne e lavoro: l’Italia fanalino di coda UE

A proposito di uguaglianza di genere e lavoro, va detto che la pandemia ha gravato parecchio sull’occupazione femminile. In media, nel 2020 è diminuita del 3,8%.

Donne e lavoro: l’Italia fanalino di coda UE

Per fortuna, ci sono stati segnali incoraggianti, secondo Istat: nel Rapporto Annuale 2022, a partire dagli ultimi mesi dell’anno precedente, il tasso di occupazione delle donne si sarebbe posizionato sopra la soglia del 50%. Una buona notizia, ma a livello europeo il tasso di occupazione femminile italiano è all’ultimo posto tra i Paesi UE-27 nel 2019 (col 50,2% rispetto al 62,9% della media europea a 27), una situazione peggiorata col calo nel 2020 di quasi 2 punti percentuali, assestandosi al 48,4%.

Istat segnala a questo proposito che:

“nel nostro Paese più della metà delle donne in età da lavoro sono fuori dal mercato del lavoro o perché disoccupate e in cerca di una occupazione o perché inattive. I dati mostrano, invece, che nella media dell’UE-27 la crescita dell’occupazione registrata nel 2021 ha riportato il tasso di occupazione femminile sui livelli pre-pandemia”.

Uguaglianza di genere e lavoro: imprese e startup femminili, qualche dato

Per considerare le condizioni di uguaglianza di genere e di lavoro in Italia si deve partire dalle imprese. Quelle a guida femminile sono 1 milione e 342mila e rappresentano il 22,18% dell’imprenditoria italiana. Sono per lo più concentrate nel settore servizi e meno nel settore primario (15,4%). Nell’industria, vi operano solo 11,3 imprese guidate da donne su cento.

Uguaglianza di genere e lavoro: imprese e startup femminili, qualche dato

A livello di startup innovative, su 14.621 realtà registrate, quelle in cui è presente almeno una donna nella compagine sociale sono 6.352, il 43,4% del totale. Ma se si considera, sul totale, quelle a prevalenza femminile – ossia, in cui le quote di possesso e le cariche amministrative sono detenute in maggioranza da donne – sono decisamente poche: 1.962, il 13,4% del totale (dati: MISE).

Donne in edilizia, energia e ambiente: crescono le ingegnere

Le note più liete si possono trovare guardando al progresso del numero di donne laureate in ingegneria. Secondo il Centro Studi CNI c’è stato un progresso sensibile negli ultimi anni: basti pensare che nei primi anni Duemila la percentuale di donne era pari al 16% dei laureati in tali discipline. Nel 2019 si è arrivati al 28,1%, si legge nel rapporto “L’universo femminile nell’ingegneria italiana” del CNI.

Donne in edilizia, energia e ambiente: crescono le ingegnere

Oggi, su 765mila laureati in Ingegneria, più di 146mila sono donne: è una percentuale pari al 19,1%. Il 74% delle ingegnere è occupata. Il gender gap si nota se si guarda al tasso di disoccupazione dei laureati magistrali a un anno dalla laurea: l’8,2% delle donne con laurea magistrale in ingegneria risulta disoccupato; negli uomini la percentuale si riduce al 5,5%.

L’indirizzo riguardante edilizia e ambiente è ben presidiato. Se si considera la quota di donne tra gli immatricolati ai corsi di laurea in ingegneria per classe di laurea (anni 2017-2019), il 60,7% frequenta architettura e ingegneria edile-architettura. Scienze e tecniche dell’edilizia ne attira il 38,8%, mentre ingegneria civile e ambientale conta sul 29,8%.

Quanto al numero e quota di donne laureate ai corsi di laurea di secondo livello in ingegneria per classe di laurea magistrale e specialistica, qui vediamo un predominio di ingegneria edile-architettura (56,9%), al terzo posto si colloca ingegneria per l’ambiente e il territorio (41,5%), mentre se consideriamo le classi di laurea energetica (e nucleare) si scende al 24,2% e ancora meno per ingegneria elettrica (11,1%).

Edilizia e occupazione: poche le donne nelle costruzioni. La leva del PNRR

La situazione potrebbe migliorare? Probabilmente sì, anche grazie al PNRR. Il Piano nazionale Ripresa e resilienza prevede l’introduzione di disposizioni dirette a condizionare l’esecuzione dei progetti all’assunzione di giovani e donne anticipando che “con specifici interventi normativi, sarà previsto l’inserimento nei bandi gara, tenuto anche conto della tipologia di intervento, di specifiche clausole con cui saranno indicati, come requisiti necessari e, in aggiunta, premiali dell’offerta, criteri orientati verso tali obiettivi”. Lo ricorda un working paper di INAPP – Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche.

Tradotto in sintesi, l’impegno è di assicurare una quota pari almeno al 30%, delle assunzioni necessarie per l’esecuzione del contratto o per la realizzazione di attività ad esso connesse o strumentali, all’occupazione giovanile e femminile. “Quindi il rispetto del 30% nell’occupazione aggiuntiva creata dai singoli progetti del PNRR per giovani e donne è definito come obbligatorio e condiziona sia l’accesso ai fondi in sede di presentazione dell’offerta, sia l’esecuzione del progetto”, segnala Valentina Cardinali dell’INAPP. La stessa evidenzia i motivi, noti, alla base del provvedimento: le profonde diseguaglianze che minano la presenza delle donne nel mondo del lavoro. L’edilizia non è da meno: secondo l’Istat (2018) sono 51.674, il 6% della forza lavoro, mentre il 18% si dedica alla parte dirigenziale.

La presenza femminile nel settore delle costruzioni è scarsa, nonostante l’incremento registrato nella mansione degli ultimi anni, mentre sono più presenti nelle alte professionalità, comprese le funzioni direttive di cantiere, per esempio. Si contano circa tremila imprenditrici edili, ossia il 14,4% delle lavoratrici autonome.

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