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Indice degli argomenti: Biometano in Europa: lo scopo del progetto Biomethaverse Le tecnologie allo studio: il ruolo primario di idrogeno verde e dei batteri Si punta sulla ricerca per aumentare la produzione di biometano in Europa, già oggi il più grande produttore al mondo, anche di biogas. L’UE, nel piano RePowerEU, ha previsto di aumentare la produzione fino a 35 miliardi di m3, entro il 2030 al fine di mitigare le emissioni di gas climalteranti, ma anche per ridurre la dipendenza energetica dall’importazione di combustibili fossili. Per farlo serve sviluppare nuove tecnologie che aumentino la produttività degli impianti a biometano e ne diversifichino la base tecnologica in modo di renderla economicamente fattibile e fruibile anche dagli impianti di biogas già esistenti. Per centrare questo obiettivo è nato di recente il progetto Biomethaverse (demonstrating and connecting production innovations in the BIOMETHane uniVERSE), che intende diversificare la base tecnologica per la produzione di biometano in Europa, aumentarne l’efficienza in termini di costi ed infine contribuire alla diffusione delle tecnologie di upgrading di biogas a biometano. L’idea di base è quella di effettuare la conversione della CO2 presente nel biogas a biometano, impiegando energia direttamente da rinnovabili e in sinergia alla produzione di idrogeno verde, attraverso processi termochimici o sfruttando le potenzialità dei batteri. A questo scopo saranno dimostrati cinque percorsi innovativi di produzione del biometano in cinque Paesi europei: Francia, Grecia, Italia, Svezia e Ucraina. La particolarità di questo progetto, finanziato per 9,8 milioni di euro è anche legata al ruolo dell’Italia: coordinatore del progetto, soprattutto per quanto riguarda l’aspetto manageriale, è ISINNOVA (Istituto di Studi per l’integrazione dei Sistemi), mentre il coordinamento dei casi studio è sostenuto dall’European Biogas Association. ENEA è stato coinvolto attivamente come ente terzo rispetto ai casi studio in carico di ottimizzare le tecnologie sviluppate, farne l’upscaling a dimensione commerciale e valutarne le prestazioni techno-economiche, sociali e ambientali. L’obiettivo è portare all’attenzione commerciale, cinque tecnologie in grado di produrre biometano da biogas: «se applicate a tutti gli impianti di biogas oggi esistenti si può stimare un aumento di produzione di biometano del 60% circa», prevede Alessandro Agostini, ricercatore ENEA esperto di fama internazionale di biocarburanti e della loro sostenibilità, attivamente coinvolto nel progetto. Tutto il biometano prodotto sarà circolare e sostenibile: la materia prima sarà costituita da scarti e sottoprodotti agricoli e da rifiuti organici. Biometano in Europa: lo scopo del progetto Biomethaverse Perché puntare sul biometano in Europa? Per molteplici motivi: è il naturale sostituto del metano fossile, e può avvalersi della stessa struttura di distribuzione, ma anche degli stoccaggi, che ad ora, sono in grado di coprire il fabbisogno di diversi mesi, garantendo lo stoccaggio intrastagionale. Non solo, è un energy carrier molto flessibile: trova spazio nella generazione elettrica, in particolare nel bilanciamento della rete di distribuzione, nell’industria, nei trasporti, e per il residenziale. L’obiettivo è convertire gli impianti di biogas esistenti in produzione di biometano, elemento complementare e sinergico a fotovoltaico ed eolico, dai quali ci si aspetta la produzione dell’energia necessaria alla produzione del biometano aggiuntivo. Per migliorare ulteriormente questo apporto entra in gioco la ricerca e, in particolare, Biomethaverse. «Scopo del progetto è supportare le tecnologie individuate, caratterizzate da un livello di maturità tecnologica (TRL – Technology Readiness Level) basso per farle raggiungere un TRL 6-7», spiega Agostini. Raggiungere un TRL 6-7 significa arrivare alla dimostrazione di un prototipo in ambiente operativo. Si tratta di un passaggio necessario prima della commercializzazione della tecnologia. Le vie di conversione a biometano contemplate dal progetto europeo riguardano quella termochimica, biochimica, thermochemical e biologica, singolarmente o combinate. Come punto di partenza, quattro impianti dimostrativi utilizzano la digestione anaerobica convenzionale e uno la gassificazione convenzionale. Nei dimostratori Biomethaverse, il biogas proveniente dalla digestione anaerobica, contenente circa il 40% di CO2 biogenica, o dalla gassificazione (che produce syngas, composto principalmente da CO e H2) combinati con idrogeno verde o elettricità prodotta da fonti rinnovabili per aumentare la resa complessiva di biometano. Le tecnologie allo studio: il ruolo primario di idrogeno verde e dei batteri Sono cinque le tecnologie allo studio del progetto. La prima è la biometanazione, processo attraverso cui la CO2 nel biogas in uscita da un digestore anaerobico convenzionale viene convertita microbiologicamente in biometano grazie a vari tipi di batteri. «In pratica, si tratta di passare il biogas, che è costituito per il 60% da metano e per il 40% da anidride carbonica, in un reattore in cui sono presenti colture microbiche che combinano la la CO2 con l’idrogeno verde fornito da un elettrolizzatore, ottenendo biometano a elevato grado di purezza. La finalità è raggiungere una concentrazione maggiore del 95%», specifica Agostini. Questo è il caso studio Italiano, la sperimentazione tecnologica verrà condotta nell’innovativo impianto di CAP Holding, in provincia di Milano, e sarà combinata alla sperimentazione di un innovativo pretrattamento dei fanghi tramite ozonolisi che potrebbe aumentare del 20% la produzione di biogas, e anche a un sistema di coltivazione di microalghe da reflui. Le altre tecnologie in sperimentazione Un’altra tecnologia che sarà implementata e studiata da un impianto dimostrativo in Grecia, è la metanazione termochimica. Questo processo, conosciuto come reazione di Sabatier, riguarda l’idrogenazione dell’anidride carbonica (CO2 + 4 H2⟶ CH4+ 2 H2O) a in presenza di catalizzatori metallici e adeguate temperature e pressioni. «In questo caso si lavorerà a renderlo un processo più efficiente e meno costoso, elevandone l’affidabilità e la resistenza degli inquinanti che inibiscono l’azione dei catalizzatori». Anche in questo caso viene aggiunto idrogeno verde, prodotto mediante elettrolizzatore alimentato da rinnovabili. C’è poi l’elettrobiometanazione, sperimentata in Francia, un processo che vede l’inserimento degli elettrodi direttamente nel biodigestore (in situ) o in un bioreattore dedicato (ex situ), in modo che i batteri possano impiegare direttamente l’energia elettrica per ridurre la CO2 a biometano. La finalità è la stessa: produrre biometano aggiuntivo a elevata concentrazione partendo da fonti rinnovabili. Una quarta tecnologia allo studio è la biometanazione del syngas che sarà implementata da impianti pilota mobili in Svezia. Si tratta di un processo biologico in grado di convertire il syngas prodotto dalla gasificazione delle biomasse lignocellulosiche, in metano, attraverso il metabolismo di microrganismi metanogeni. «Contando sul ruolo dei batteri si può potenzialmente ottenere un processo più resiliente e flessibile rispetto a un processo termochimico», spiega ancora il ricercatore ENEA. Il quinto processo tecnologico riguarda la biometanazione in situ. Anche in questo caso l’impiego dei batteri e di idrogeno da fonti rinnovabili ha un ruolo centrale: consiste nell’iniettare direttamente idrogeno verde direttamente nel digestore anaerobico, anziché in un reattore addizionale e separato, in modo da ridurre e convertire la CO2, prodotta durante la digestione anaerobica, in biometano. Di quest’ultimo si occupa un impianto in Ucraina. Consiglia questo approfondimento ai tuoi amici Commenta questo approfondimento
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