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Indice degli argomenti Toggle Fotovoltaico e agricoltura: cosa si rende necessario per l’agrivoltaico innovativoMancano le regole operativeLa questione dell’altezzaFotovoltaico a terra: il suolo non è in pericoloDecreto aree idonee: in attesa del decreto attuativo Aumentare la quota di fotovoltaico in agricoltura è una misura necessaria per la transizione energetica, conciliando la produzione elettrica da fonti rinnovabili alla coltivazione agricola. Le potenzialità ci sono. Basta leggere quanto emerge dal rapporto “Overview of the Potential and Challenges for Agri-Photovoltaics in the European Union” del Joint Research Center (JRC) della Commissione europea: utilizzando solo l’1% delle superfici agricole si potrebbero installare fino a 944 GW di nuovi impianti agrivoltaici in Europa, cinque volte tanto quanto installato a fine 2022 (211 GW). Così si potrebbe “raggiungere e superare gli obiettivi di riduzione delle emissioni fissati al 2030 che puntano all’installazione di 600 GW di impianti fotovoltaici”, riporta il JRC. Tuttavia, si legge sempre nel report, “la mancanza di una definizione chiara a livello europeo di agrivoltaico rappresenta un ostacolo significativo. Altre criticità sono legate ai lunghi iter autorizzativi per la salvaguardia dei raccolti e la conservazione della biodiversità”. Per superare queste barriere, l’Unione europea vuole incoraggiare i Paesi membri a integrare incentivi per l’agrivoltaico. L’Italia, a oggi, attraverso il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica ha presentato il decreto che incentiva la diffusione dell’agrivoltaico innovativo. L’obiettivo fissato è installare almeno 1,04 GW di sistemi agrivoltaici avanzati entro il 30 giugno del 2026. Per questo ha stanziato un contributo, a valere sui fondi PNRR, in conto capitale nella misura massima del 40% dei costi ammissibili pari a oltre un miliardo di euro. Può essere una misura sufficiente? «L’agrivoltaico innovativo a oggi è una soluzione che implementa sia la parte energetica sia la parte agricola, ma non è ancora matura – afferma Rolando Roberto, vicepresidente di Italia Solare e co-coordinatore del gruppo di lavoro “Agrivoltaico e fotovoltaico nel territorio” –. Ciò significa che siamo in una fase sperimentale e il decreto che va a incentivarlo, con fondi Pnrr a fondo perduto per il 40%, serve a dare slancio e stimolo ad attività che altrimenti non risulterebbero economicamente realizzabili e che contemplano l’integrazione fra produzione agricola e fotovoltaica. L’obiettivo del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica di realizzare 1,04 GW serve a trovare soluzioni innovative, dal punto di vista tecnologico e della meccanizzazione agricola oltre che dello studio degli ombreggiamenti e delle rese energetiche, in modo da trovare le soluzioni più adatte perché l’agrivoltaico diventi un settore maturo, ovvero indipendente dal punto di vista economico e non più legato a un incentivo diretto». Fotovoltaico e agricoltura: cosa si rende necessario per l’agrivoltaico innovativo Per diventare maturo, l’agrivoltaico innovativo deve raggiungere un’economia di scala. A tale riguardo, un aspetto preminente riguarda la tecnologia. «Nell’agrivoltaico, quella legata al fotovoltaico è una tecnologia matura, mentre quella sul lato agricolo è suscettibile di innovazione. Qui la grande sfida è finalizzata a limitare il più possibile l’interferenza fra i due sistemi, agricolo ed energetico, per ridurre al minimo problemi di sicurezza, di costi assicurativi, di possibili incidenti», spiega ancora il vicepresidente di Italia Solare. Si dovrà puntare su una automazione più spinta, con l’implicazione della robotica e della meccanizzazione dei processi agricoli, con tutto quello che esso concerne (sensoristica ecc.). L’altro elemento sperimentale è quello della convivenza tra i due sistemi, energetico e agricolo. Il fotovoltaico crea un ombreggiamento aggiuntivo, che potrebbe favorire determinate colture: si pensi alla produzione oggi in serra, per esempio. «L’innovazione, in questo caso, è legata allo studio delle migliori condizioni di ombreggiamento e alla possibilità di favorire un microclima mediante l’adozione di un sistema agrivoltaico. Servono, a tale proposito, studi specifici che si stanno realizzando e che serviranno proprio per questo. È bene considerare il principio fondamentale alla base della conciliazione di fotovoltaico e agricoltura: occorre mantenere produttivi sia la parte elettrica sia quella agricola. Stiamo parlando di settori industriali, che richiedono produttività ed efficienza per portare reddito. Per questo occorre creare sistemi efficienti ed efficaci, condizione imprescindibile perché l’agrivoltaico possa considerarsi maturo». Mancano le regole operative Il Decreto Agrivoltaico c’è, tuttavia mancano ancora le regole operative. «In particolare non è stato ancora presentato il documento Crea-GSE contenente le linee guida sul monitoraggio e su come verrà considerata la continuità agricola, che è un tema dirimente perché la stima di produzione fotovoltaica si può fare, non così sicura quella agricola – ricorda Roberto –. Il settore agricolo vive maggiormente questa incertezza, acuita dagli effetti dei cambiamenti climatici. Anche su questo la sperimentazione servirà a capire in che modo questi due sistemi possano minimizzare questo tipo di rischio». Dalle prime evidenze scientifiche, le condizioni microclimatiche generate dall’agrivoltaico sembrano favorire una mitigazione alle condizioni siccitose. «Nelle zone molto calde, per esempio, si riduce l’evaporazione, quindi da questo punto di vista il connubio sembra ottimale. Su altri contesti ci sono criticità, generate da preconcetti errati, uno dei quali è che il fotovoltaico possa proteggere dalla grandine. Non è così. In caso di grandine, si dovrebbe prevedere il posizionamento dei moduli fotovoltaici in verticale per tutelare l’impianto, purtroppo a scapito della coltura sottostante, a meno che non siano previste delle reti, dove possibile su alcune colture. Questo perché l’investimento per la parte elettrica è di un ordine di grandezza decisamente superiore rispetto a quello della parte agricola: un fermo impianto per manutenzione straordinaria creerebbe un impatto molto elevato sul modello finanziario». La questione dell’altezza Oltre all’agrivoltaico innovativo, si può prevedere la presenza di agri-fotovoltaico, che ha generalmente configurazioni con altezze minime dei pannelli da terra che variano dai 50 agli 80 cm, e con un ingombro di poche decine di centimetri rispetto alla fila dei sostegni, con un asse al di sopra di essi che varia dai 170 ai 280 cm (pannello singolo o doppio) da terra. L’altezza è un vero nodo ancora irrisolto e su cui si attendono le nuove guida. In quelle emanate a giugno 2022 si definiscono altezze dal suolo che presupporrebbero altezze complessive d’impianto tra i 4 e i 6 metri. «Non siamo d’accordo che l’altezza sia l’unica soluzione per far sì che il sistema si ritenga maggiormente integrato con la parte agricola. Questo dipenderà dal tipo di cultura e, quindi, da uno studio agronomico. Quindi, l’altezza non può essere considerato un dogma, perché altrimenti si rischia di incentivare una soluzione complessa e dispendiosa. Ciò si traduce in procedure autorizzative più complesse e un maggiore impatto paesaggistico. Una struttura di 6 metri evidentemente ha un impatto paesaggistico diverso rispetto a una da 3 o 4 metri. Inoltre, si rischia di creare dei sistemi inefficienti di produzione, in particolare la parte energetica in quanto avrà un costo maggiore. Rendere inefficiente la tecnologia fotovoltaica – che attualmente ha LCOE tra i più bassi – è una follia, se pensiamo di creare GW di impianti inefficienti solo per la retorica dell’altezza pronunciata dell’impianto», sottolinea ancora il responsabile Gdl AgriFV di Italia Solare. E aggiunge: «tutto ciò che è sperimentazione, ovvero l’agrivoltaico innovativo incentivato dal Pnrr, può essere fatto, anche se riteniamo che i rigidi sull’altezza minima potrebbero limitare la ricerca e sviluppo, ma il resto del mercato si farà o con il fotovoltaico tradizionale a terra. Perché? Perché riteniamo che la produzione energetica debba essere efficiente al massimo. Quando effettivamente i terreni sono vocati all’agricoltura, a seconda delle specifiche necessità, si adotterà l’agrivoltaico più efficiente possibile, anche perché non ci saranno incentivi diretti per fare sperimentazioni ulteriori». Quindi, a parere di Italia Solare, l’agrovoltaico potrà avere un ruolo, ma non potrà soddisfare la totalità degli oltre 50 GW al 2030. Come evidenziato dalla stessa associazione, sopraelevare ad almeno 4 metri da terra un impianto vuol dire “una maggiorazione di spesa di almeno 300mila euro per ettaro di superficie utilizzata, rispetto a un impianto standard, generando per la parte agricola benefici minimi generati dall’ombreggiamento parziale”. Nel piano agronomico «si può dimostrare che la producibilità agricola, per alcune colture, risulta tranquillamente equivalente impiegando un impianto fotovoltaico ad altezza più contenuta. Stanno emergendo dati a supporto, in grado di scardinare il dogma in maniera oggettiva». Fotovoltaico a terra: il suolo non è in pericolo C’è poi un altro elemento, a proposito del fotovoltaico in agricoltura, che va considerato: il consumo di suolo con impianti fotovoltaici a terra “che sono incompatibili con l’attività agricola”, a detta di Coldiretti. «Premesso che gli agricoltori possono fare quello che desiderano coi loro terreni, decidendo di coltivarli o di venderli, su questo non voglio entrare nel merito. Tuttavia, è bene dire che l’imprenditore che fa agricoltura di professione, sa quanto sia redditizia e non ha alcuna intenzione di vendere i propri terreni, perché è il suo mestiere coltivarli e trarne profitto. Ma quando un settore ha alcune attività non profittevoli, decide se venderle o meno». È bene sottolineare, e ci tiene a farlo Rolando Roberto, che una volta che il fotovoltaico viene installato in un campo, questo non perde neppure minimamente il suo valore. «Anzi, il fotovoltaico migliora gli aspetti di biodiversità, in termini di rinaturalizzazione del terreno, rendendolo più ricco di nutrienti, oltre che permette un ripopolamento della flora e della fauna. Quindi, il fotovoltaico non compromette un futuro utilizzo del terreno a fini agricoli». Decreto aree idonee: in attesa del decreto attuativo Un altro aspetto che andrà a influire sullo sviluppo del fotovoltaico in agricoltura sarà legato alla definizione del regolamento attuativo del Decreto Aree Idonee. «Abbiamo letto una prima bozza del MASE. Uno degli aspetti più critici riguardava la possibilità di realizzare in maniera prevalente l’agrovoltaico “elevato da terra”, sfruttando la totalità della superficie disponibile, in tutte le zone di pregio (Dop, Igp), non solo l’effettivo perimetro di coltivazione, ma tutta l’area attigua, che in alcuni casi comprende tutto il territorio regionale. Se non si circoscrive questo perimetro, significherà che l’unico modo di fare fotovoltaico in agricoltura in Italia sarà limitato all’agrivoltaico più costoso che avrebbe necessità di sussidi diretti per essere realizzabile (ricordando che solo 1 GW è il contributo che potrà dare il Pnrr)». Occorre, quindi una mappatura specifica. «A questo punto ci riserviamo di vedere la bozza ministeriale successiva così da presentare, nel caso, le dovute osservazioni – rileva Roberto –. In base all’ultima direttiva FER, si deve passare al concetto di aree di accelerazione, nelle quali la realizzazione del fotovoltaico viene fortemente semplificata, sulla base del presupposto che produrre elettricità da fotovoltaico è di interesse pubblico. Ciò significa che, tra le aree classificate agricole, occorre selezionare quelle che è preferibile destinare in tutto o prevalentemente al fotovoltaico, in modo da produrre energia a costi il più possibile contenuti». Consiglia questo approfondimento ai tuoi amici Commenta questo approfondimento
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