Tutto sui PFAS: storia, effetti sulla salute, diffusione e alternative

Le sostanze perfluoroalchiliche o PFAS sono presenti ovunque, dai prodotti che usiamo, ai cibi e all’acqua che consumiamo. Il problema è la persistenza nell’ambiente e nell’organismo, e gli effetti dannosi per la salute fino al cancro.

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Tutto sui PFAS: storia, effetti sulla salute, diffusione e alternative

Le sostanze perfluoroalchiliche (PFAS), sono un gruppo di sostanze chimiche artificiali che conferiscono ai prodotti scivolamento, resistenza al calore, all’olio, alle macchie, al grasso e all’acqua. Queste straordinarie caratteristiche ne ha agevolato la diffusione in tutto il mondo in vari settori industriali (ad es. tessile, prodotti per la casa, prodotti antincendio, automobilistico, alimentare, edile, elettronico). Le PFAS sono moltissime – nella banca dati dell’OCSE ne sono elencate oltre 4.700 – e tutte hanno in comune una persistenza estremamente elevata, nell’ambiente e nell’organismo umano. Insieme alle plastiche (microplastiche e nanoplastiche), rappresentano una delle più gravi minacce per la salute del Pianeta.

Detti gli inquinanti eterni (“forever chemicals”) perché, l’unione di una molecola di carbonio ed una di fluoro – tra i più forti esistenti nella chimica organica – crea un legame indissolubile, indistruttibile, eterno. E, essendo idrosolubili, si diffondono facilmente nell’ambiente, anche attraverso l’acqua: sono state rilevati persino nell’acqua piovana, nell’acqua potabile, nelle falde acquifere e anche nel sangue di cittadini europei e americani. Il problema è che a diverse PFAS sono associati gravi timori per la salute (alcune cancerogene). Sebbene le aziende 3M e DuPont, tra i maggiori utilizzatori di pfas, già almeno dagli anni Sessanta ne avessero accertato la pericolosità, è solo da pochi anni che se ne è venuti a conoscenza.

Come spesso accade nella storia, una tecnologia nata e sviluppata in campo militare e aeronautico (ad es. l’aerogel) viene riconvertita, in tempo di pace, ad usi in ambito civile e industriale. E le PFAS non fanno eccezione. Inventate 70 anni fa e utilizzati nel progetto “Manhattan” per costruire la bomba atomica, per le qualità di impermeabilità all’acqua e all’olio, durevolezza, resistenza al calore, nel dopoguerra si sono diffuse ovunque, dai trattamenti antimacchia delle vettovaglie, alle padelle antiaderenti (Teflon), ai vestiti impermeabili (Gore-Tex), tappeti, corde di chitarra, batterie, vernici, involucri di alimenti e filo interdentale.

Una ricerca del 2007 ha scoperto che il fiume Po aveva livelli di inquinamento impressionanti: i 2/3 di tutte le sostanze rintracciate in Europa. Nel 2013 uno studio del CNR-IRSA porta alla luce un grave inquinamento da PFAS in alcune aree del Veneto situate tra le province di Vicenza, Verona e Padova. La provincia di Vicenza è stata la prima a tentare di decontaminare le acque inquinate da pfas. E ci è riuscita grazie ai carboni attivi ricavati dalle noci di cocco. Il problema è la durata: vanno sostituiti ogni mese e il costo è molto elevato. Per eliminarli del tutto c’è bisogno di temperature molto elevate, oltre mille gradi.

Cosa sono le PFAS o inquinanti eterni

Le PFAS sono un gruppo di sostanze chimiche artificiali usate dal dopoguerra come adiuvanti in centinaia di processi industriali e per la produzione una miriade di prodotti e oggetti di uso quotidiano. Denominate inquinanti eterni (o “forever chemicals”), per l’essere sostanze Persistenti, Bioaccumulanti e Tossiche. Sono perciò molto pericolose, da una parte perché permangono nell’ambiente per centinaia di anni, dall’altra perché sono assorbite facilmente e si accumulano nell’organismo che, non li metabolizza, né espelle. È stato dimostrato che molte PFAS hanno un impatto negativo sulla salute umana, sono interferenti endocrini, e due delle varianti più conosciute – PFOS e PFOA – sono cancerogene.

Cosa sono le PFAS o inquinanti eterni

Il legame carbonio-fluoro, che le contraddistingue – tra i legami chimici più forti nella chimica organica – rende tali sostanze estremamente stabili, con caratteristiche non solo idrofobiche, ma anche idrosolubili e oleo repellenti. Ciò spiega la grande diffusione nell’ambiente: l’unica azione in grado di rompere la molecola e, dunque, il legame carbonio – fluoro è l’incenerimento a una temperatura superiore a 800 gradi. In base alla lunghezza della catena di carbonio fluorurato, si possono distinguere PFAS a catena corta e lunga. Le loro proprietà le rendono particolarmente resistenti alle reazioni chimiche, al calore e all’abrasione o frizione, e servono per conferire ai materiali proprietà di antiaderenza e impermeabilità sia all’acqua che agli oli (capacità di idrorepellenza e oleorepellenza).

Grazie alle loro caratteristiche di aumentare la resistenza alle alte temperature, grassi e acqua, le sostanze perfluoroalchiliche o PFAS sono utilizzate in una moltitudine di prodotti industriali e di consumo come: tessuti, tappeti ed abbigliamento, prodotti di carta e cartone a contatto con gli alimenti, pentole antiaderenti, schiume antincendio, tensioattivi per l’industria estrattiva e i pozzi petroliferi, lucidanti per pavimenti e formulazioni di insetticidi. Per tutte le caratteristiche citate, le sostanze perfluoroalchiliche sono molto persistenti nell’ambiente: contaminano il suolo, l’aria, l’acqua e arrivano all’uomo attraverso la catena alimentare. Come si è detto, sono idrosolubili, con la conseguenza che si diffondono facilmente in ambiente idrico. L’accumulo nella catena alimentare, sia acquatica che terrestre, è stato descritto recentemente in modo molto dettagliato in un’opinione scientifica dell’EFSA (Autorità europea per la sicurezza alimentare) del 2018, che indica la presenza delle più alte concentrazioni di PFOS e di PFOA nelle principali categorie alimentari: il pesce, la carne, le uova nel caso del PFOS, il latte, i prodotti derivati dal latte, l’acqua potabile e il pesce nel caso del PFOA.

Nonostante siano trascorsi oltre 80 anni dalla creazione involontaria in laboratorio della prima PFAS, il PFTE o Teflon, non esiste una definizione universalmente accettata per questi composti: in base ai criteri adottati, il numero complessivo varia da 4730 (secondo l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico – OCSE) fino a oltre 12 mila.

L’interesse per questi composti artificiali è cresciuto dopo alcuni eclatanti episodi di contaminazione: popolazioni le cui acque potabili e alimenti erano state contaminate dall’emissione incontrollata nell’ambiente in USA, Europa, Cina e, in Italia, in un’ampia porzione del Veneto, Lombardia, Piemonte e Toscana.

Le principali fonti di PFAS: prodotti e diffusione

A partire dagli anni ’40 le PFAS si sono diffuse in tutto il mondo e oggi invadono (come l’amianto è stato per l’edilizia) tutti i settori economici e industriali, e sono presenti in una moltitudine di prodotti di largo consumo: imballaggi alimentari, padelle antiaderenti, filo interdentale, carta forno, cannucce ecologiche e biodegradabili, farmaci, cosmetici, emulsionanti e tensioattivi in prodotti per la pulizia, nella formulazione di insetticidi, rivestimenti protettivi, schiume antincendio e vernici.

I composti perfluoroalchilici vengono usati nei rivestimenti dei contenitori per il cibo, come ad esempio quelli dei «fast food» o nei cartoni delle pizze d’asporto, nella produzione del Teflon (dalle note proprietà antiaderenti) e del Gore-Tex, materiale che ha trovato applicazione in numerosi campi.

Le principali fonti di PFAS: prodotti e diffusione

Sono impiegate anche nella produzione di capi d’abbigliamento impermeabili, in prodotti per stampanti, pellicole fotografiche e superfici murarie, in materiali per la microelettronica e nelle meccaniche di precisione, grazie alla loro capacità di ridurre l’attrito nelle parti rotanti.

Sono usate nell’industria galvanica (in particolare cromatura), scioline, gas refrigeranti, nell’attività estrattiva dei combustibili fossili, in alcune applicazioni dell’industria della gomma e della plastica, nelle cartiere, nei lubrificanti, nei trattamenti anticorrosione, nel settore aeronautico, aerospaziale e della difesa, per la produzione dei vari componenti meccanici.

Infine, una determinata tipologia di PFAS, i Fluoropolimeri trovano impiego in applicazioni ad alto contenuto tecnologico, come nei dispositivi medicali, nelle batterie agli ioni di litio, nell’isolamento di cavi per le nuove tecnologie, nella realizzazione di semiconduttori per l’elettronica, nelle installazioni per gli impianti di energia rinnovabile (come batterie e celle a combustibile).

Esposizione umana alle PFAS

La popolazione generale è esposta alle PFAS principalmente attraverso il cibo e l’acqua potabile e potenzialmente attraverso i prodotti di consumo. Sono presenti ovunque nell’ambiente, anche nelle aree più remote del Pianeta (uno studio ha trovato PFAS anche nell’oceano Artico).

Le vie di esposizione umana alle PFAS
Modalità di esposizione umana alle PFAS

Negli alimenti, le specie ittiche al vertice della catena alimentare, i pesci e i molluschi sono fonti significative di esposizione alle PFAS. Il bestiame allevato su terreni contaminati può accumulare PFAS nella carne, nel latte e nelle uova. Un recente rapporto di CNR-IRSA e Greenpeace Italia dimostra come anche solo cuocere cibi sani in acqua contaminata da PFAS, trasmette il contaminante ai cibi lessati che, diventano così un pericolo per la salute umana.

Nessuno può sentirsi al sicuro da queste sostanze: numerosi studi hanno rilevato la presenza di Pfas nel sangue umano. Uno studio americano del 2019, che utilizza i dati del National Health and Nutrition Examination Survey, segnala che le sostanze chimiche PFAS sono state rilevate nel sangue del 98% degli americani. E, mentre i livelli ematici possono diminuire nel tempo, i livelli di PFAS “continuano a persistere anche dopo la fine dell’esposizione” accumulandosi nell’organismo, afferma il rapporto. “Alcuni di questi prodotti chimici hanno un’emivita dell’ordine di cinque anni“, ha detto Hoppin. “Se in questo momento hai 10 nanogrammi di PFAS nel tuo corpo, anche senza ulteriore esposizione, tra cinque anni avresti ancora 5 nanogrammi.”

Presa Diretta, il programma d’inchiesta Rai con la puntata del 18 marzo “Stop ai veleni” ha dimostrato la presenza degli PFAS ovunque, anche nel nostro sangue.

La mappa dell’inquinamento da PFAS in Europa

L’inquinamento da PFAS è totalizzante. Il quotidiano francese Le Monde ha creato la Forever Pollution Map, la prima mappa a mostrare l’entità della contaminazione in Europa da parte di queste sostanze tossiche e persistenti, con una raccolta dati su una scala senza precedenti. La contaminazione è vasta e diffusa, non risparmia nessuno, ogni Paese ne è coinvolto in misura più o meno maggiore.

La mappa dell’inquinamento da PFAS in Europa
La mappa dell’inquinamento da PFAS in Europa (Le Monde)

La mappa mostra gli impianti di produzione di PFAS, alcune località in cui vengono utilizzati PFAS, nonché i siti in cui è stata rilevata la contaminazione e quelli che potrebbero essere contaminati.

A febbraio 2024, in tutta Europa, sono stati rilevati:

  • 20 produttori di PFAS o impianti chimici,
  • 23.000 siti contaminati da PFAS (nell’acqua, nel suolo o negli organismi viventi).

Tra i siti europei più inquinati da PFAS spicca il Belgio, dove nei pressi dello stabilimento 3M di Zwijndrecht sono state rilevate concentrazioni di oltre 72 milioni ng/litro, i Paesi Bassi che in prossimità dello stabilimento Chemours di Dordrecht superano i 4 milioni ng/l e l’Italia con il Veneto che, nella provincia di Vicenza, attorno allo stabilimento della Miteni, supera i 7 milioni ng/l.

Storia ed evoluzione delle PFAS

L’industria chimica già dagli anni Sessanta sapeva dei rischi delle Pfas per la salute e li ha tenuti nascosti continuando a fare profitto, produrre e inquinare. Tutto ha origine dalla difficile battaglia dell’avvocato Robert Bilott che ha fatto causa al colosso della chimica DuPont, svelando documenti che coprono oltre 40 anni di storia e rivelano come l’azienda sapesse già dal 1961 delle criticità di quelle sostanze. E, come l’industria del tabacco, hanno insabbiato le prove, nascondendo la verità per quasi mezzo secolo. La storia è ben raccontata nel film “Cattive acque” (Dark Waters) di Todd Haynes e in un articolo del New York Times dal titolo The Lawyer Who Became DuPont’s Worst Nightmare a cura di Nathaniel Rich.

L'avvocato Robert Bilott che ha fatto emergere la verità sui PFAS (fonte: NYT)
L’avvocato Robert Bilott che ha fatto emergere la verità sui PFAS (fonte: NYT)

Nel documento “The Devil They Knew: Chemical Documents Analysis of Industry Influence on PFAS Science”, gli autori affermano che «l’industria disponeva di molteplici studi che mostravano effetti negativi sulla salute almeno ventun anni prima che i dati venissero resi pubblici» e che «DuPont aveva prove della tossicità dei PFAS da studi interni sugli animali e sul lavoro che non ha pubblicato nella letteratura scientifica e non ha riferito i risultati all’EPA come richiesto dal TSCA. Questi documenti erano tutti contrassegnati come “confidenziali” e, in alcuni casi, i dirigenti dell’industria hanno dichiarato esplicitamente di “volere la distruzione di questo promemoria». 

Le origini: Plunkett e la scoperta del Teflon

Tutto ha inizio in un laboratorio della DuPont. Era il 6 aprile 1938, il dottor Roy J. Plunkett e i suoi colleghi, nel lavorare con i gas refrigeranti, scoprirono che un campione congelato e compresso di tetrafluoroetilene si era polimerizzato spontaneamente in un solido bianco ceroso per formare politetrafluoroetilene (PTFE), il capostipite di una folta dinastia di PFAS (oggi se ne contano decine di migliaia).

Il PTFE è un fluoropolimero dalle caratteristiche straordinarie, resistente al calore e agli agenti chimici, è considerato il materiale più scivoloso esistente. Ha rivoluzionato l’industria delle materie plastiche e ha dato origine a innumerevoli applicazioni a beneficio dell’intero genere umano.

Per il suo contributo, Plunkett ha ricevuto importanti riconoscimenti dalla comunità scientifica, accademica e civile di tutto il mondo. È stato inserito nella Plastics Hall of Fame nel 1973 e nella Nation’s Inventors Hall of Fame nel 1985, unendosi a scienziati e innovatori di fama mondiale come Thomas Edison, Louis Pasteur e i fratelli Wright.

Considerato il periodo bellico, venne inizialmente impiegato nel “Progetto Manhattan” per costruire la bomba atomica (Oppenheimer l’ha utilizzato per separare l’uranio e nel materiale di guarnizioni e valvole) e nei rivestimenti dei carri armati, durante la Seconda Guerra Mondiale

Terminato il conflitto, la DuPont si rivolse a nuovi usi, civili e industriali. Dopo averlo brevettato con il marchio Teflon nel 1945, dall’anno successivo cominciò la commercializzazione dei primi prodotti, dalle pentole antiaderenti, ai rivestimenti antimacchia per tessuti e prodotti tessili. L’invenzione fu talmente rivoluzionaria per l’industria della plastica, che diede vita a infinite applicazioni di svariati settori: aerospaziale, delle comunicazioni, dell’elettronica, dei processi industriali e dell’architettura.

Dupont e 3M

Due importanti aziende negli Stati Uniti hanno prodotto la maggior parte dei PFAS emergenti: 3M, produttore di Scotchgard, ed E.I. du Pont de Nemours & Company, noto come DuPont, produttore di Teflon. La loro tossicità è diventata di pubblico dominio solo sul finire degli anni 90, sebbene già trent’anni prima, DuPont e 3M, i più grandi produttori di PFAS sapevano dell’esistenza di pericoli per la salute ad essi associati.

Dupont e 3M

Analizzando i documenti dell’epoca (Gaber et al., 2023) dal 1961 al 2006, emerge come l’industria chimica sapesse della natura pericolosa degli PFAS e abbia utilizzato analoghe strategie alle industrie del tabacco per sviare l’opinione pubblica, sopprimere i risultati della ricerca scientifica, celandone la pericolosità. Già nel 1961 (Mastromatteo et al.), ci si interrogava sulla tossicità del Teflon in seguito alla decomposizione sottoposto a calore. Poi ci fu il caso di un lavoratore di una base americana che avrebbe fumato una sigaretta contaminata con Teflon e sarebbe morto sul posto. Nel 1980, uno studio di sorveglianza professionale pubblicato dal direttore medico della 3M ha rilevato livelli elevati di sostanze fluorochimiche nel sangue dei lavoratori dello stabilimento 3M (Ubel et al., 1980). Nel 1981, la società osservò il PFOA nei campioni di sangue prelevati da lavoratrici incinte presso la struttura di Washington Works e almeno una donna aveva trasferito la sostanza chimica al suo feto.

Tutto è rimasto nascosto per anni, finché, grazie alla causa intentata contro la DuPont, da parte dell’avvocato Robert Bilott per conto dell’allevatore Wilbur Tennant, che aveva visto morire centinaia delle sue mucche, la pericolosità dei PFAS diventa finalmente di dominio pubblico. DuPont è stata tra le prime aziende negli USA a produrre il Teflon (materiale plastico che, fino al 2013, era prodotto con acido perfluoroottanoico, anche detto PFOA o C-8). L’azienda che, noncurante delle evidenze, tra il 1951 e il 2003 sversò quasi 7.100 tonnellate di fanghi contenenti PFOA nel fiume Ohio, fu alla fine condannata a risarcire l’allevatore per 16 milioni di dollari e qualche tempo dopo ad una multa di 671 milioni di dollari nei confronti degli abitanti del West Virginia che bevevano acqua potabile inquinata. Fu la più grande sanzione civile mai ottenuta negli Stati Uniti in base alle leggi ambientali del periodo.

Inquinamento da PFAS in Italia: Veneto e Nord Italia

Nel Nord Italia è concentrato il più grande inquinamento da PFAS d’Europa. Inizialmente ritenuto circoscritto ad una sola parte del Veneto, è stata poi riscontrato anche nelle regioni vicine: in Lombardia, Piemonte e, notizia di questi giorni, anche in Toscana.

La presenza dei PFAS in Italia era stata accertata già quasi vent’anni fa. Era il 2007 e il Prof. Michael MacLachlan, firmatario dello studio Perforce, nell’analizzare campioni d’acqua prelevati dalle foci dei 14 principali fiumi europei (tra cui Reno, Danubio, Elba, Oder, Senna, Loira e Po) ha riscontrato la più alta concentrazione di perfluoroottanoato (PFOA) nel fiume Po: 200 ng/L, i due terzi dello scarico totale di PFOA di tutti i fiumi studiati. Quello che emerge è un quadro allarmante per l’Italia, la Pianura Padana risulta infatti la più vasta area a maggior inquinamento da PFAS d’Europa.

PFAS: Analisi campioni d’acqua delle foci dei 14 principali fiumi europei, tra cui Reno, Danubio, Elba, Oder, Senna, Loira e Po
Analisi campioni d’acqua delle foci dei 14 principali fiumi europei, tra cui Reno, Danubio, Elba, Oder, Senna, Loira e Po (MacLachlan, studio Perforce)

MacLachlan, individuerà nella Solvay la principale fonte d’inquinamento. “Basandoci sulla nostra conoscenza del PFOA come produzione e utilizzo, riteniamo Solvay Solexis la principale fonte di emissione di PFOA nel fiume Po. Vi esortiamo ad indagare”, scriverà infatti a Giuseppe Malinverno, allora dirigente Solvay.

Inquinamento da PFAS in Italia

Queste prime, clamorose scoperte, aprirono la strada a nuove indagini e approfondimenti: tra il 2011 e 2013, uno studio nato dalla convenzione tra Ministero dell’Ambiente e IRSA–CNR per la valutazione del Rischio Ambientale e Sanitario associato alla contaminazione da sostanze perfluoro-alchiliche (PFAS) nel Bacino del Po e nei principali bacini fluviali italiani (Po e tributari, Adige, Tevere, Arno), bacini con elevate pressioni antropiche (Brenta, Lambro) e le aree di transizione (Laguna di Venezia, Delta del Po).

Le fonti inquinanti identificate, sono state classificate in:

  • fonti puntuali: impianti fluorochimici di Spinetta Marengo (AL) e Trissino (VI)
  • fonti «diffuse»: Distretti tessili-conciari dell’Arno e Bacino Olona-Lambro

Emerge che le zone industriali del Paese, come storicamente è il Settentrione, sono quelle maggiormente esposte all’inquinamento da PFAS. Oltre al Veneto, infatti, elevati livelli di inquinamento sono stati registrati anche nel Piemonte (Spinetta Marengo, Alessandria), Lombardia e Toscana. In numerosi corsi d’acqua della Toscana, sono state rinvenute tracce di Pfas. Oltre ai distretti del tessile, conciario e cuoio (questione emersa già dal 2013 con uno studio del Cnr-Irsa e dalle indagini periodiche dell’Arpa Toscana), Greenpeace ha scoperto l’inquinamento da PFAS causato dal distretto cartario di Lucca.

In seguito alla contaminazione da PFAS accertata da Arpa Veneto nelle provincie di Padova, Verona e Vicenza, Enea (agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile) e ISDE (associazione internazionale dei medici per l’ambiente) hanno condotto sinergicamente uno studio epidemiologico sulla popolazione delle aree colpite. È stato rilevato che, “rispetto ad una popolazione non esposta a PFAS con l’acqua potabile, in entrambi i sessi, un eccesso di mortalità per diabete, malattie cerebrovascolari, infarto del miocardio e Alzheimer, con incrementi percentuali variabili dal 10 al 25% circa” e “un aumento della prevalenza di ipercolesterolemia, malattie alla tiroide, un eccesso significativo di orchiectomie per cancro del testicolo, un eccesso di nati con bassissimo peso alla nascita (<1.000 grammi), di anomalie cromosomiche e di malformazioni a carico soprattutto del sistema nervoso e dell’apparato cardiovascolare”.

Quello in Veneto è uno dei casi più gravi di contaminazione in Europa, con un’estensione di oltre 150 chilometri quadrati e il coinvolgimento di oltre 350 mila persone. Nonostante la gravità della situazione, ancora oggi l’inquinamento continua a propagarsi dalla sede di Miteni, visto che non è stata mai realizzata una vera bonifica del sito contaminato.

PFAS: effetti sulla salute umana e cancro

L’esposizione umana ai PFAS è principalmente dovuta all’ingestione di cibo o acqua contaminati. Diversi studi hanno dimostrato che i PFAS presentano per l’uomo effetti tossici: una volta nell’organismo hanno un’emivita piuttosto lunga, andandosi ad accumulare preferibilmente nel sangue e nel fegato e possono provocare epatotossicità, immunotossicità, neurotossicità, alterazioni ormonali nella riproduzione e nello sviluppo.

PFAS: effetti sulla salute umana e cancro
Effetti delle PFAS sulla salute umana e sullo sviluppo del feto (fonte: EEA)

La ricerca è tutt’ora in corso di accertamenti da parte degli studiosi in tutto il mondo, sebbene siano già evidenti gli effetti dell’esposizione umana ai PFAS, che comprendono cancro renale, cancro testicolare, malattia tiroidea, danni epatici e una serie di effetti sullo sviluppo a carico dei feti.

Di recente, l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC), l’agenzia contro il cancro dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), ha valutato la cancerogenicità dell’acido perfluoroottanoico (PFOA) e dell’acido perfluoroottanosolfonico (PFOS). La sintesi delle valutazioni finali è pubblicata online su The Lancet Oncology, mentre la valutazione dettagliata è pubblicata nel 2024 come volume 135 delle monografie IARC. Dopo una serie di test sugli animali e sull’uomo, ne emerge che il PFOA è cancerogeno per l’uomo (Gruppo 1), mentre il PFOS è probabilmente cancerogeno per l’uomo (Gruppo 2B).

Il recente Decreto acque potabili, li ha finalmente presi in considerazione, limitando la presenza di quelli più pericolosi a un massimo di 0,1 ug/litro.

Normative e limiti dei PFAS

Appurato che i PFAS sono ormai ovunque, si è cercato di regolamentarne l’utilizzo e limitarne la presenza. L’Agenzia per la protezione dell’ambiente degli Stati Uniti d’America (EPA), così come l’Europa hanno cominciato a mettere i primi limiti a queste sostanze. Alcuni Stati hanno vietato le PFAS nei materiali a contatto con gli alimenti, nella carta e negli imballaggi di carta per alimenti e nella schiuma antincendio.

L’UE si era occupata di PFAS già dal 2001, con la convenzione di Stoccolma sugli inquinanti organici persistenti (POP): entrata in vigore nel 2004, è stata recepita nella legislazione dell’Unione dal regolamento (CE) n. 850/2004. Tale regolamento è stato sostituito dal regolamento (UE) 2019/1021 relativo agli inquinanti organici persistenti (rifusione) anche detto “regolamento POP”.

Normative e limiti dei PFAS

Nel luglio 2020, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) ha adottato un parere sul rischio per la salute umana connesso alla presenza di sostanze perfluoroalchiliche negli alimenti. L’Autorità ha concluso che il PFOS, il PFOA, il PFNA e il PFHxS possono provocare effetti sullo sviluppo e possono avere effetti nocivi sul colesterolo sierico, sul fegato nonché sul sistema immunitario e sul peso alla nascita. Essa ha considerato gli effetti sul sistema immunitario come l’effetto più critico e ha stabilito una dose settimanale tollerabile (DST) di gruppo di 4,4 ng/kg di peso corporeo alla settimana per la somma di PFOS, PFOA, PFNA e PFHxS, che protegge anche dagli altri effetti di tali sostanze. Il parere più recente dell’EFSA fissa la dose giornaliera tollerabile (TDI) per i PFOS negli alimenti a 13 ng/kg di peso corporeo/settimana e per il PFOA a 6 ng/kg di peso corporeo/settimana.

Il 7 dicembre 2022 con il REGOLAMENTO (UE) 2022/2388 (che modifica il regolamento (CE) n. 1881/2006), la Commissione Europea introduce nuovi limiti per le sostanze perfluoroalchiliche in alcuni prodotti alimentari. Anche negli USA i valori guida sono in fase di revisione. Nel 2016 la US Environmental Protection Agency ha pubblicato un avviso a vita sulla salute dell’acqua potabile che fissa i valori limite per il PFOA ed i PFOS a 70 ng/l.

In Italia, la recente Direttiva sull’acqua potabile o Dlgs 18/2023, che recepisce la DIRETTIVA (UE) 2020/2184, entrata in vigore il 12 gennaio 2021, prevede un limite di 0,1 µg/l per tutti i PFAS (come somma dei più pericolosi). Ricordiamo che non vale per l’acqua in bottiglia, dove al momento non vengono ricercati i PFAS.

Le alternative ecologiche e sane?

Le aziende stanno sostituendo i pfas a catena lunga (come PFOA e PFOS) con sostanze a catena corta, considerate meno pericolose. Ma è davvero così?

Intanto il 7 febbraio 2023, cinque Paesi europei (Danimarca, Germania, Svezia, Paesi Bassi e Norvegia) hanno presentato una proposta per la messa al bando dell’uso e della produzione di PFAS (Sostanze Poli- e Per- fluoroalchiliche) nell’ambito del regolamento europeo REACH.

Si tratterebbe della regolamentazione più ampia e significativa presentata nella storia dell’Unione Europea (e probabilmente anche a livello globale). Il dossier, oltre a prendere in esame i rischi ambientali e gli effetti sulla salute di questi composti, fornisce una valutazione complessiva sull’efficacia, sulla praticabilità, e sulla possibilità di monitorare gli effetti e le conseguenze della proposta, oltre agli impatti socioeconomici.

Nella pagina web dell’ECHA è possibile scaricare il database con le alternative ai PFAS già disponibili nei vari settori industriali.

Eccone alcune:

  • Gas refrigeranti: Ammoniaca, Anidride Carbonica, Azoto, Metilale, Etanolo, Argon etc;
  • Packaging e altri materiali destinati al contatto con gli alimenti: materiali vegetali derivanti da piante, evitare di rivestire il packaging in carta con trattamenti idrorepellenti, materiali derivanti dall’argilla, biopolimeri (chitosano, cellulosa, acido polilattico), composti a base di silicone etc;
  • TULAC: composti a base di cera d’api, paraffine, alcoli etossilati, cere, cera di carnauba, polimeri acrilici o a base di siliconi, dimeticone, dendrimeri, emulsioni a base di poliuretano, etc.

I ricercatori dell’Università di Milano-Bicocca, nell’indagare alternative non tossiche e biodegradabili per sostituire i PFAS hanno sperimentato l’uso di biopolimeri non tossici e sostenibili, modificati per creare rivestimenti idrofobici, in particolare il chitosano: polisaccaride derivante dalla chitina (un costituente degli esoscheletri dei crostacei). Nello studio viene proposto un metodo per produrre rivestimenti a base di chitosano, con la possibilità di modulare le sue proprietà di trasparenza e superidrofobicità.

Ma le maggiori resistenze al cambiamento derivano proprio dove sono cominciate, da quell’industria militare che non riesce più a fare a meno di queste sostanze chimiche. Un recente rapporto del Dipartimento della Difesa (DoD) U.S.A., sebbene ne riconosca l’importanza del limitarne gli usi superflui, tuttavia li considera insostituibili, fondamentali per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti e individua alcuni settori e prodotti che al momento non possono fare a meno dei PFAS (perché assenti alternative valide). Dichiara infatti che “I PFAS sono fondamentali per il successo e la preparazione delle missioni del Dipartimento della Difesa e per molti settori nazionali di infrastrutture critiche, tra cui la tecnologia dell’informazione, la produzione critica, l’assistenza sanitaria, l’energia rinnovabile e i trasporti”.

E mette in guardia del limitarne o proibirne l’uso: “Se i futuri quadri giuridici e normativi dei PFAS ignorassero la cautela dell’OCSE sull’uso della sua definizione di PFAS e cercassero di limitare ampiamente l’uso dei PFAS in base alla struttura chimica, potrebbero esserci vasti impatti economici, sulla competitività industriale e sulla qualità della vita”.

Considerato il momento storico, la corsa agli armamenti, le guerre in Ucraina e Palestina, il parlare di guerra in Europa, certamente questo Report assume un peso enorme. Il matrimonio tra l’industria militare/aeronautica e i PFAS pare destinato, nonostante l’evidente pericolosità per la salute umana e l’ambiente, a durare ancora a lungo.

Sicuramente, investire nella ricerca e sviluppo di soluzioni ecologiche, sane e sicure in alternativa ai PFAS è quanto mai necessario, per proteggere la salute umana e l’ambiente. Considerando infatti la loro permanenza nell’ambiente e nel corpo di esseri umani, animali e vegetali, è cruciale eliminarli. E, laddove ciò non sia possibile ancora, limitarli fortemente e in ogni caso provvedere ad un corretto smaltimento dei rifiuti anche tramite sistemi di depurazione e filtraggi che ne impediscano il rilascio nell’ambiente.

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