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A cura di:La Redazione Sempre più spesso ci capita di leggere o ascoltare i grandi proclami delle aziende rispetto alla lotta contro il cambiamento climatico. Ma quante di queste dichiarazioni corrispondono ad impegni concreti? La nuova ricerca di InfluenceMap dal titolo “Net zero greenwash: the gap between corporate commitments and their policy engagement” ha analizzato le dichiarazioni e gli impegni di circa 300 aziende presenti nella classifica Forbes 2.000, rilevando che nel 58% dei casi, le aziende rischiano il greenwashing. La classifica, che individua le aziende più grandi al mondo, rivela che spesso molte di queste non sostengono le azioni politiche climatiche intraprese dai governi. “Questi risultati dovrebbero essere un campanello d’allarme per le aziende di tutto il mondo” ha dichiarato Catherine McKenna, fondatrice di Climate and nature solutions e presidente del gruppo di esperti di alto livello del segretario generale delle Nazioni unite sugli impegni net zero. “È chiaro che, mentre le aziende si affrettano a mostrare i propri impegni climatici, molte non sostengono una politica governativa positiva sul clima. Non solo, molte scelgono di indebolire i propri impegni climatici esercitando pressioni contro l’azione per il clima, ma i loro impegni per l’azzeramento delle emissioni nette semplicemente non sono credibili. Abbiamo bisogno che le imprese creino un ciclo di ambizioni climatiche in cui la leadership del settore privato incoraggi e rafforzi l’azione ambiziosa del governo”. Le grandi aziende a rischio greenwashing La ricerca di InfluenceMap è basata sul rapporto Onu “Integrity matters: net zero commitments by businesses, financial institutions, cities and regions” che stabilisce alcuni semplici regole per le aziende che puntano ad essere net zero: non investire in combustibili fossili; tagliare le emissioni; non svolgere attività di lobby verso le politiche climatiche governative; intraprendere azioni volontarie verso l’obiettivo net zero. La ricerca ha poi analizzato i canali di comunicazione delle aziende per valutare come vengono descritti gli impegni climatici ed ha elaborato i risultati. Quello che emerge è che spesso c’è una scarsa correlazione tra il numero di pagine web aziendali contenenti termini inerenti il net zero e l’impegno attivo. Questo significa che molte aziende sfruttano il linguaggio sulla neutralità climatica senza perseguirla realmente. I risultati della ricerca La ricerca di InfluenceMap ha suddiviso le aziende in quattro grandi categorie: le aziende “allineate” con gli Accordi di Parigi (fascia da A+ a B), le aziende con “impegno politico misto ma più favorevoli” (fascia da B- a C+), le aziende “favorevoli alla politica climatica ma spesso in disaccordo” (fascia da C a D+) e aziende “disallineate” (fascia da D a F) Su 300 aziende analizzate, solo 15 rientrano nella categoria “allineate” e tra queste ci sono marchi del calibro di Enel, Danone, H&M e Apple. Molte delle aziende appartenenti al settore dei combustibili fossili, aviazione e automobilistico rientrano nella fascia delle “disallineate”. Tra queste troviamo Delta Air Lines, Repsol, Stellantis, Southern Company e Woodside Energy Group Ltd. La maggior parte delle aziende rientra nella fascia che va dalla B- alla D+, aziende che appoggiano le scelte politiche climatiche ma non sempre sono d’accordo. Tra queste ci sono Nike, Pepsico, Bmw, Unilever, Proc ter & Gamble, Microsoft e Walmart. Secondo lo studio, la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, UNFCCC, dovrebbe intraprendere ulteriori azioni per prevenire il greenwashing. Per questo, nel giugno 2023, l’UNFCCC ha annunciato il piano “Recognition and Accountability Framework” per monitorare i piani di transizione verso la neutralità climatica. L’ONU ha anche pubblicato una lista di controllo per le aziende che implementano le sue linee guida per dimostrare coerenza tra i progetti di transizione verso la neutralità climatica e l’impegno politico. Consiglia questa notizia ai tuoi amici Commenta questa notizia
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