Img by Enea L’inquinamento atmosferico impatta anche sulla resa dei pannelli fotovoltaici. E’ quanto emerge da uno studio firmato ricercatori del Centro ENEA di Portici (Napoli), in collaborazione con il Dipartimento di Ingegneria Ambientale dell’Università Federico II di Napoli, che specificano che possono esserci perdite medie annue fino al 5% causate del particolato atmosferico (PM2.5) che, nelle zone particolarmente inquinate, possono perfino raddoppiare. Le analisi in particolare hanno interessato i Comuni della Campania, utilizzando i dati delle centraline di monitoraggio della qualità dell’aria dell’ARPAC e di COPERNICUS. Si tratta di una ricerca importante che conferma che produzione e consumo di energia non possano prescindere dalle tematiche di salvaguardia ambientale. Girolamo Di Francia responsabile del Laboratorio Sviluppo Applicazioni Digitali Fotovoltaiche e Sensoristiche dell’ENEA sottolinea che “il problema molto serio per una fonte energetica come quella fotovoltaica, caratterizzata di per sé da basse densità di potenza per unità di area di impianto, soprattutto se si pensa agli impegni previsti dal PNIEC e dal PNRR“. Un precedente Studio, pubblicato sulla rivista Nature Energy e dedicato all’impatto delle polveri sottili sulla resa dei pannelli fotovoltaici in Cina, ha registrato una perdita annua del 13%. La capacità fotovoltaica del colosso asiatico dovrebbe raggiungere entro il 2030 400 GW e fornire il 10% dell’energia primaria. Tuttavia l’inquinamento e le emissioni influenzano negativamente la radiazione solare. La ricerca, osservando i dati di 119 stazioni in tutta la Cina, ha verificato che il potenziale fotovoltaico è diminuito in media dell’11-15% tra il 1960 e il 2015 a causa delle emissioni. Secondo i ricercatori un ritorno ai livelli di inquinamento del 1960 permetterebbe di aumentare del 12-13% la produzione di elettricità, equivalente a 14 TWh aggiuntivi con le capacità fotovoltaiche del 2016, e 51-74 TWh con le capacità previste per il 2030, con enormi benefici anche a livello economico. Girolamo Di Francia spiega che “Analizzando il funzionamento dei rilevatori ottici per polveri sottili, ci siamo resi conto che il particolato disperde in maniera rilevante la radiazione solare proprio nel range di lunghezze d’onda in cui ci si attende che le celle solari funzionino al meglio”. Consiglia questa notizia ai tuoi amici Commenta questa notizia
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