Parchi e riserve in Italia: un bene da tutelare, per l’ambiente e per l’economia

I parchi italiani sono un luogo benefico per la salute, per l’ambiente e per l’economia. Da una loro gestione accorta si avrebbero vantaggi, ma urgono cambiamenti, segnala Giampiero Sammuri, presidente Federparchi

A cura di:

Parco Nazionale del Pollino
Parco Nazionale del Pollino – Foto archivio AAPP

Indice degli argomenti:

Come stanno i parchi in Italia? È una domanda che bisogna farsi, in tempi in cui si discute di transizione ecologica, di green economy, di ripresa sostenibile dalla crisi pandemica.

Il nostro Paese conta 24 Parchi Nazionali, 133 Parchi Regionali, 147 Riserve Naturali Statali, 30 Aree Marine Protette, più di 360 Riserve regionali, inoltre una vasta rete di siti protetti la maggior parte dei quali rientranti nella Rete Natura2000.

Sappiamo che l’Italia è ricca di boschi e foreste che costituiscono un patrimonio naturalistico inestimabile: i parchi italiani ne contano 820mila ettari che, tra l’altro, aiutano ad assorbire 145 milioni di tonnellate di CO2 equivalenti l’anno.

Giampiero Sammuri, presidente di FederparchiParchi e riserve sono un bene fondamentale per l’ambiente, per l’uomo e per il territorio in cui sono presenti, dato che sono 502 i Comuni interessati solo dai Parchi Nazionali, ovvero il 6,3% del totale. «I parchi sono i luoghi migliori dove si può trascorrere del tempo. Il tempo del Covid-19 ce l’ha mostrato chiaramente: non sono solo spazi dove poter mantenere il giusto distanziamento, ma dove stare meglio a livello salutare», afferma Giampiero Sammuri, presidente di Federparchi, la federazione italiana parchi e riserve.

Presidente Sammuri, che 2020 è stato per i parchi italiani?

Malgrado la crisi pandemica, hanno continuato a essere attivi. Innanzitutto non hanno interrotto la loro attività di tutela e monitoraggio della biodiversità che è il cuore pulsante dei parchi. Inoltre, rispetto ad altri settori, hanno risentito meno della riduzione del turismo. Certo, si è accusato il crollo verticale rappresentato dalle gite scolastiche e l’indotto che rappresenta, che costituiscono una forte componente. Ma per quanto riguarda la percentuale di turisti che li frequenta normalmente, a partire dall’uscita del lockdown fino a ottobre è stata comunque significativa. Addirittura, in alcuni si è registrato un numero di presenze maggiore rispetto gli anni precedenti.

Lei come se lo spiega questo andamento tutto sommato positivo?

Quello dei parchi è un tipo di turismo che convive meglio con le necessità sanitarie contingenti, fatto di distanziamento, di attività all’aria aperta in ampi spazi. Anzi, quanto avvenuto nell’anno passato ci offre insegnamenti utili anche per la possibile gestione turistica del 2021.

E poi frequentare i parchi, godendo i benefici di ambienti salubri, ha riflessi positivi sulla salute, come già evidenziato nel convegno 2019 organizzato all’Università Campus Biomedico di Roma.

Quali sono i principali benefici di stare immersi nel verde?

È stato dimostrato che il rapporto con la natura e gli spazi verdi riduce del 50% gli effetti degli eventi stressanti in particolare sui bambini e ragazzi.

Secondo i dati di Europarc una camminata di 30 minuti a passo svelto, nel verde, per cinque giorni a settimana, riduce il rischio di infarto del 20-30%; di diabete del 30-40%; di depressione o demenza del 30%. Inoltre, come è stato evidenziato in tale occasione dal presidente di Intelligent Health, fare movimento negli spazi verdi stimola le funzioni del cervello in particolare dell’ippocampo, l’area cerebrale che è centro del comportamento e dell’apprendimento.

Prealpi Giulie Monte Canin
Prealpi Giulie Monte Canin (Archivio PNPG)

Da qui si evidenzia la funzione terapeutica del parco: un luogo dove stare meglio, per godere di un maggior benessere. Tutto questo c’era già, ma è stato accentuato dalla pandemia.

L’anno appena cominciato come si prospetta per la gestione dei parchi?

Già lo scorso anno abbiamo messo a punto un protocollo con lo stesso Campus Biomedico che tenesse conto di tutte le problematiche insorte con Covid-19 e l’abbiamo messo in pratica. Il 2021, in termini di ripresa dell’attività turistica nei parchi, è legato naturalmente dall’uscita dalla fase acuta della pandemia e dalle legittime restrizioni per ridurre i contagi. Se si ripresenteranno le condizioni, prevedo che anche l’anno appena cominciato sarà all’insegna dell’attrattività turistica dei parchi.

Quali sono, invece, i problemi che scontano i parchi italiani?

Quando si parla di parchi italiani sono compresi parchi nazionali, regionali e aree marine protette, ognuno dei quali ha peculiarità e criticità specifiche.

Partiamo con i parchi nazionali. Essi scontano una situazione di disponibilità finanziaria, in termini di fondi che, stante l’inadeguatezza delle norme, è difficoltoso spendere: stiamo parlando di circa 140 milioni di euro. Da una parte la questione normativa, dall’altra però non possiamo nascondere che, in taluni casi, si assiste anche a inefficienze dei gestori degli enti parco.

Per quanto riguarda invece i parchi regionali, in questo caso il problema è opposto: qui si risente della cronica povertà di risorse. Siamo in una situazione in cui alcuni parchi fanno fatica a mantenere le infrastrutture esistenti, in altri addirittura il parco regionale esiste solo sulla carta, in quanto non c’è personale né una direzione.

Area marina protetta Tavolara, Isole Cavalli e Piana
Area marina protetta Tavolara, Isole Cavalli e Piana

La stessa penuria di risorse si riscontra anche per le aree marine protette anche se per il 2021 registriamo una prima decisa inversione di tendenza con un importante incremento delle risorse, cosa che come Federparchi chiedevamo insistentemente da anni. Come i parchi nazionali, esse sono dipendenti dallo Stato. Anche in questo caso si ha a che fare con una obsolescenza normativa che non tiene conto della necessità di una gestione moderna e manageriale.

Stante l’abbondanza di fondi per i parchi nazionali e, invece, di carenza per i regionali e per le aree marine protette, non sarebbe possibile distribuirli equamente per le esigenze degli uni e degli altri?

Certamente. Ed è esattamente quello che come Federparchi richiediamo da anni: non ci sarebbe nulla di male nel ridurre alcuni finanziamenti dei parchi nazionali e allocarli alle aree marine. Così come sarebbe il caso di coinvolgere lo Stato nel finanziamento dei parchi regionali.

Una volta esisteva questa possibilità, pensata come una forma di finanziamento paritario statale-regionale. Purtroppo dal 2003 questa pratica virtuosa non è più stata intrapresa.

La Corte dei Conti evidenzia le carenze dei parchi. Perché ciò accade?

La Corte dei Conti annualmente redige un rapporto dedicato ai parchi nazionali in cui puntualmente li “bacchetta” in quanto capaci di generare poche entrate proprie, tranne rare eccezioni.

Essi potrebbero fare molto di più: intanto nella migliore gestione degli introiti dalle attività turistiche, come accade all’estero per esempio nel caso dei parchi nordamericani o, in Europa, di quelli in Svezia. In questi casi gli enti parco gestiscono direttamente i proventi delle attività, ricavando introiti consistenti dalle attività svolte nel territorio, ma anche dalle infrastrutture di ospitalità, alberghi e non solo. In Italia ciò non accade in parte per l’impianto normativo, ma anche per l’incapacità manageriale di alcuni di loro.

A quanto ammonta il giro d’affari potenziale dei soli parchi nazionali?

Se consideriamo due esempi di enti parco virtuosi, capaci di entrate medie di 8 milioni di euro circa, moltiplicando per 24 enti arriviamo a un valore potenziale di 190 milioni di euro se i parchi nazionali potessero esprimere il loro potenziale. Ed è una somma ben superiore a quella erogata dallo Stato.

Quale ruolo può avere il Next Generation EU per la transizione ecologica e, quindi, per i parchi italiani?

Certamente può essere un importante stimolo. Tuttavia sento ormai da anni parlare di rivoluzione green e ho l’impressione che se ne parli più di quanto si faccia in pratica. Credo che servano delle politiche realmente mirate che aiutino ad andare verso una direzione realmente green. Occorre anche lavorare sui meccanismi normativi che permettano non solo di contare sui risorse economiche, ma di poterle spendere, impiegandole concretamente.

C’è da pensare inoltre ai benefici indiretti che potrebbero significare anche a livello occupazionale. Già oggi nei parchi nazionali, regionali e nelle aree marine protette sono occupate direttamente circa 1500 persone, ma se consideriamo l’indotto legato alle attività che beneficiano della presenza del parco allora il numero aumenta esponenzialmente.


Giampiero Sammuri

Biologo e zoologo, è presidente di Federparchi dal 2009, di cui è stato per otto anni componente del Consiglio direttivo della Federazione. È anche presidente del Parco Nazionale Arcipelago Toscano e per anni ha ricoperto cariche di vertice in vari enti tra cui il Parco della Maremma di cui è stato presidente. Ha svolto anche l’attività di docenza universitaria presso la Facoltà di Scienze Matematiche,Fisiche e Naturali dell’Università di Siena.

Consiglia questa notizia ai tuoi amici

Commenta questa notizia



Tema Tecnico

Sostenibilità e Ambiente

Le ultime notizie sull’argomento



Secured By miniOrange