L’elettrificazione per rilanciare l’industria automotive italiana

Motus-E e CAMI (Center for Automotive and Mobility Innovation), hanno presentato il “Rapporto sulle trasformazioni dell’ecosistema automotive italiano” dove analizzano l’impatto della transizione del comparto automotive italiano verso l’elettrico.

A cura di:

L’elettrificazione per rilanciare l’industria automotive italiana

Indice degli argomenti:

La produzione industriale legata al mondo delle automobili affonda le sue radici nella storia del nostro Paese: dalla prima vettura creata da Enrico Bernardi nel 1882 ai successi della Fiat, l’industria è sempre stata il cuore del comparto produttivo nazionale. Facendo un rapido passo in avanti, abbiamo visto il settore perdere quella forza trainante che lo caratterizzava: lo sviluppo tecnologico, la globalizzazione e le sfide legate al climate change hanno fatto perdere interesse verso l’automobile e al tempo stesso hanno portato le aziende a dover ripensare i propri modelli produttivi per sopravvivere.

Lo scenario climatico attuale impone alle imprese di affrontare un cambiamento epocale allontanandosi dai combustibili fossili optando per risorse pulite e green.

Come dimostrato dal “Rapporto sulle trasformazioni dell’ecosistema automotive italiano” realizzato da Motus-E e CAMI (Center for Automotive and Mobility Innovation), l’elettrificazione del comparto automotive è il tassello fondamentale per ridurre l’impatto ambientale della mobilità.  

Ma non solo: la transizione verso un nuovo modello di mobilità può essere un’opportunità di rilancio per il comparto industriale italiano e di occupazione lavorativa. Anche se distante dal tradizionale approccio dell’industria automotive nazionale, investire sull’elettrificazione potrebbe rappresentare una via di miglioramento per un settore che soffre ormai da tempo, la cui situazione si è aggravata a causa della pandemia e del recente conflitto russo-ucraino.

Lo scenario: il mercato automotive italiano

Secondo quanto riportato dalla ricerca di Motus-E e CAMI, il comparto automotive italiano ha iniziato a subire delle contrazioni importanti già a partire dal 1998. I dati in riferimento alla fine degli anni ’90 mostrano che la produzione annua di automobili si attestava a 1.971.969 unità, contro le 1.410.459 del 1999, le 661.100 del 2009, le 542.472 del 2019 e le 442.407 del 2021.

Stessa sorte è spettata alle immatricolazioni e, di riflesso, ai lavoratori occupati nel settore: dai dati presentati nel report vediamo che tra il 1998 e il 2008 – momento storico di massimo sviluppo per le motorizzazioni endotermiche – il numero degli occupati è crollato da 177.419 a 144.890, ovvero il 21% in meno rispetto a 20 anni prima.

Rispetto a quanto espresso da diversi studi di settore, i quali vedono l’elettrificazione del comparto come la “pietra tombale” dell’automotive italiano, le analisi svolte da Motus-E e CAMI dipingono uno scenario del tutto diverso. In particolare le due realtà mostrano la fallacia di questi studi che si focalizzano in maniera esclusiva sulla componentistica e sull’uso di codici ATECO che non permettono di avere un quadro esaustivo di tutti gli attori della filiera automobilistica.

Come sottolinea Massimo Nordio, Presidente di Motus-E: “Non si può rimanere indifferenti davanti a questi numeri, è evidente che per rilanciare l’industria italiana dell’auto occorra puntare subito sulle tecnologie in espansione, perdere tempo vorrebbe dire indebolire ulteriormente il settore e cedere ad altri Paesi la nostra leadership nella componentistica”. Prosegue Nordio: “Questa filiera è strategica e fondamentale per l’Italia, non possiamo più permetterci di trascurarla mettendo a rischio migliaia di posti di lavoro, dopo quelli che abbiamo già perso tra il 1998 e il 2018”.

La metodologia analitica

È da queste premesse che lo studio di Motus-E e CAMI sceglie di approcciarsi all’analisi utilizzando una metodologia che parte dalla definizione di 19 macro moduli dell’ecosistema automotive italiano a cui fanno riferimento 127 componenti elementari. Partendo da questo approccio, gli studiosi sono stati in grado di misurare la correlazione di ogni azienda con il powertrain elettrico: in questo modo è stato possibile stimare il livello di rischio di ogni impresa basandosi sulla compatibilità del portafoglio prodotti con i BEV.

L’indagine è stata scolta su 2.400 imprese a cui fanno riferimento 280.000 occupati, realtà situate in misura maggiore nel Nord-Ovest del Paese con una preponderanza di piccole realtà (il 30% di esse registra un fatturato inferiore ai 5M€). Partendo da questi dati, gli studiosi hanno analizzato il database per identificare le imprese che offrono componenti dedicati ai veicoli endotermici suddividendole in base al rischio tecnologico.

Delle 199 aziende che producono componenti dedicati al powertrain endotermico, sono circa 14.000 i lavoratori impiegati nella produzione il cui posto di lavoro è a rischio maggiore.

Dopo aver identificato le aziende coinvolte e gli occupati potenzialmente impattati dalla transizione verso l’elettrificazione, i ricercatori sono passati a valutare l’impatto delle imprese occupate nel powertrain elettrico. Come riporta il documento: “l’analisi ha inquadrato poi le 107 imprese operative già oggi nel segmento dei powertrain elettrici, che impiegano 22.000 persone con un fatturato di circa 7 miliardi di euro. Questo peraltro è solo un primo risultato, che potrebbe aumentare a seguito di ulteriori analisi più approfondite sulle nuove produzioni e, soprattutto, sulle imprese che già stanno investendo in nuove attività”.

Quale sarà lo scenario nel 2030?

Per rendere l’analisi svolta comparabile ad altri studi già pubblicati, il team di Motus-E e CAMI ha scelto di utilizzare i dati al 2030 in riferimento ai report BCG basati su dati IHS Markit / S&P. In particolare sono state prese a riferimento tre variabili: “La reattività degli occupati dedicati alla produzione di componenti dedicati a motori endotermici e non” –  “La produzione totale e il mercato europeo”; e “La produzione di veicoli elettrici in Europa”.

A questi fattori sono state integrate anche le seguenti quattro ipotesi:

  • Una equidistribuzione degli occupati tra i prodotti in portafoglio di ogni azienda
  • Una proporzionalità diretta tra il rischio aziendale e il numero di componenti dedicate all’endotermico
  • L’invarianza dell’esposizione della filiera della componentistica italiana verso i committenti europei
  • L’esclusione del contributo occupazionale da parte del comparto infrastrutture ed energia.

Il dettaglio di analisi ha consentito agli esperti di calcolare la reattività degli occupati sia a livello aziendale che a livello di singolo prodotto.

Ma cosa è emerso? Secondo il team di ricerca, con i ¾ dei lavoratori sono ora impiegati nella produzione di soluzioni non esclusive per i powertrain endotermici, sarebbe sufficiente al 2030 un “marginale incremento di queste attività trasversali per compensare anche un dimezzamento dei lavoratori destinati unicamente ai motori tradizionali”.

Possibile scenario al 2030 del settore automotive con la crescita dell'elettrificazione

 In sostanza, l’impatto occupazionale complessivo al 2030 risulta addirittura positivo: la ricerca parla di un incremento del 6% degli occupati totali della filiera. A questi numeri si vanno a sommare circa 7.000 nuovi posti di lavoro al 2030 stimati da BCG legati al settore dell’e-mobility in relazione alle infrastrutture e all’energia.

Gli occupati della filiera automotive in uno scenario di elettrificazione

Consiglia questa notizia ai tuoi amici

Commenta questa notizia



Tema Tecnico

Mobilità elettrica

Le ultime notizie sull’argomento



Secured By miniOrange