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Indice degli argomenti: Obiettivi e definizione del Bilancio di sostenibilità secondo l’Unione europea La direttiva NFRD Bilancio di sostenibilità: quando diventa obbligatorio e per chi A che punto è l’Italia in tema di sostenibilità aziendale? Crisi climatica ed emissioni di Co2 sono argomenti sempre più attuali, il mondo non può più prescindere dalla sostenibilità della produzione industriale, obiettivo da raggiungere con molteplici mezzi e strumenti. Uno di questi è proprio il bilancio di sostenibilità, un report nato in ambito europeo che presto diventerà obbligatorio anche per grandi imprese e pmi italiane. Si tratta di un bilancio in cui le grandi aziende “tirano le somme” dei progetti, dei risultati e degli investimenti mirati alla sostenibilità, alla lotta contro l’inquinamento e all’implementazione delle fonti di energia rinnovabile. Senza trascurare l’aspetto sociale ed economico: il bilancio di sostenibilità spesso contiene importanti informazioni sul numero di occupati, la loro età, etnia e sesso. Per il momento non è un adempimento obbligatorio per tutte le aziende ma sta pian piano diventando una pratica diffusa nelle realtà “virtuose” che vogliono dimostrare il proprio impegno verso le tematiche ambientali, attrarre investitori e sostenere l’eticità del proprio business. Così di anno in anno cresce il numero di bilanci di sostenibilità in Europa, anche se nel nostro Paese più a rilento che in altri. A che punto è l’Italia sul fronte del bilancio di sostenibilità, quali saranno le sfide per il futuro e a chi si estende l’obbligo nel 2026? Obiettivi e definizione del Bilancio di sostenibilità secondo l’Unione europea Per dare una definizione di bilancio di sostenibilità bisogna citare le parole della Commissione europea del 2001: “L’integrazione volontaria delle preoccupazioni sociali ed ecologiche delle imprese nelle loro operazioni commerciali e nei loro rapporti con le parti interessate”. In altre parole il bilancio di sostenibilità è un report in cui un’impresa rende conto delle scelte, delle attività e dei risultati raggiunti in tema di sostenibilità in un determinato lasso temporale, generalmente l’anno solare. Ciò serve a spiegare alcune scelte strategiche, dimostrare il proprio impegno verso l’ambiente e far sì che l’opinione pubblica e possibili investitori abbiano una “fotografia” di una certa azienda o attività. Questo documento, almeno per il momento, non è obbligatorio ma meramente informativo degli obiettivi raggiunti sul rispetto dell’ambiente. Le informazioni al suo interno riguardano come sono state utilizzate le risorse naturali, l’impatto ambientale dell’attività svolta, come viene distribuita la ricchezza prodotta e informazioni importanti su occupazione, diritti dei lavoratori e parità di genere. Questo report è disciplinato a livello europeo, dapprima con una direttiva del 2019 e in un secondo momento con la direttiva CSRD (Corporate Sustainability Reporting Directive) del 21 aprile 2021. Così si è passati da un bilancio finanziario non obbligatorio ma consigliato per le grandi aziende di rilevanza nazionale all‘obbligatorietà per circa 50.000 imprese europee a partire dal 2026. L’effetto della direttiva è stato quello di spingere sempre più realtà imprenditoriali a pubblicare un report aggiornato di anno in anno nel quale dimostrare il proprio impegno verso l’ambiente. E le aziende ci guadagnano in termini di reputazione diventando più attrattive verso forme di finanziamento pubbliche e private. La direttiva NFRD Uno step fondamentale in tema di bilancio di sostenibilità è la direttiva NFRD (Non Financial Reporting Directive) adottata nel 2014 e recepita in Italia nel 2016 con il D.Lgs. n. 254/2016. Questa direttiva impone a circa 11.000 imprese europee di grandi dimensioni e interesse pubblico l’obbligo di redigere un report sulla sostenibilità dell’attività svolta nel corso dell’anno. La direttiva Ue ha avuto un effetto inaspettato: spingere molte più aziende di quelle obbligate ad elaborare il bilancio, chi per attirare investimenti chi per tirare le somme del proprio operato. Bilancio di sostenibilità: quando diventa obbligatorio e per chi Con la successiva direttiva Ue del 10 novembre 2022, detta CSRD, si cambia rotta: non si parla più di bilancio finanziario ma di bilancio di sostenibilità con nuovi soggetti tenuti alla rendicontazione annuale. Il bilancio di sostenibilità sarà un obbligo e non una facoltà: per tutte le grandi imprese europee (non necessariamente quotate in borsa) con almeno 250 dipendenti, un fatturato superiore a 50 milioni di euro e un attivo superiore a 43 milioni di euro; per le aziende quotate eccetto le microimprese, le imprese con meno di 10 dipendenti e fatturato inferiore a 2 milioni di euro. In considerazione delle difficoltà dovute al Covid-19, per le piccole e medie imprese l’obbligo scatterà dal 1° gennaio 2026 facendo passare la platea delle aziende interessate da 11.000 a 50.000. A che punto è l’Italia in tema di sostenibilità aziendale? Avere un’economia sostenibile è la più grande sfida dei nostri tempi, e l’Italia non fa eccezione. Per monitorare l’impegno delle imprese verso la sostenibilità e la conversione nelle fonti rinnovabili, ogni anno il Rapporto SDGs dell’Istat redige un report in cui tiene conto degli standard ambientali, sociali ed economici del nostro Paese. I dati non sono ottimistici. Nel 2019 si era registrato un trend positivo rispetto al decennio precedente mentre dal 2020 in poi si è registrata una contrazione dovuta al Covid-19: la necessità di fronteggiare la pandemia ha messo in secondo piano gli obiettivi di sostenibilità ambientale. Inoltre lo sviluppo sostenibile procede su due binari differenzianti: le regioni del nord Italia, soprattutto del nord est, sono più virtuose, quelle del sud e delle isole hanno dati decisamente peggiori. Le regioni in cui le grandi imprese prestano maggiore attenzione alla sostenibilità sono le province autonome di Trento e Bolzano, Valle d’Aosta, Lombardia, Liguria e Piemonte. Mentre sono in coda alla classifica Sicilia, Campania e Calabria. I dati Istat evidenziano i settori che in questi hanno si sono dimostrati più attivi nel redigere il report: fornitura di energia elettrica, gas, vapore, aria condizionata, acqua, industria estrattiva e gestione dei rifiuti. Un impegno ammirevole anche se le attività che emettono più Co2 sono altre: l’industria farmaceutica le industrie manifatturiere, trasporti e magazzinaggio allevamento, agricoltura, pesce e silvicoltura Un elemento positivo è che i settori più inquinanti sono anche quelli che negli ultimi anni stanno dimostrando l’impegno maggiore nella lotta all’inquinamento, specialmente l’industria manifatturiera e l’attività di fornitura di energia elettrica e gas. Detto ciò resta il grande tema dei bilanci di sostenibilità di grandi imprese e pmi che, rispetto al contesto europeo, sono poco diffusi nonostante la loro obbligatorietà si avvicini. Consiglia questo approfondimento ai tuoi amici Commenta questo approfondimento
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