Cambiare il modello energetico per una società più consapevole

Il tema Energia sta suscitando parecchie discussioni e dibattiti a livello mondiale. Negli ultimi tempi è diventato sempre più una questione, oltre che di interesse dei Governi, anche molto “giovane”, grazie a Greta Thunberg si tratta infatti di uno dei maggiori temi discussi tra le fasce di età più giovani. L’ingener Luca Alberto Piterà, Segretario Generale di AiCARR, in quest’intervista ci aiuta a capire cosa succederà nel prossimo futuro

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Cambiare il modello energetico per una società più consapevole

Indice degli argomenti:

Per quanto riguarda l‘Energia, il vero cambiamento sta nel coinvolgimento operativo di ogni individuo nei programmi e nelle decisioni pubbliche e private. Cambiare il modello energetico significa cambiare la società, perché definisce un ruolo nuovo per l’individuo, che deve essere positivamente e volontariamente costretto a un atteggiamento più consapevole e attivo sia come consumatore, smart user, sia come produttore, prosumer.

Ingener Luca Alberto Piterà, Segretario Generale dell’Associazione AiCARRRivolgiamo qualche domanda all’ingener Luca Alberto Piterà, Segretario Generale dell’Associazione AiCARR, per la quale è docente della scuola di climatizzazione AiCARR e coordinatore dell’Osservatorio Normativo, cercando di capire meglio cosa ruota attorno al tema Energia e cosa ci aspetterà nel prossimo futuro, in Italia, ma anche nell’intero mondo.  

 

 

Quali sono le differenze tra edifici ZEB, NZEB e nZEB?

È importante definire inizialmente le differenze tra Zero Energy Building (ZEB), net Energy Building (nZEB) e il Nearly Energy Building (NZEB) e del perché l’Italia ha scelto di utilizzare quest’ultimo.

Per poter affrontare la progettazione di uno NZEB bisogna innanzitutto definirne il riferimento, rappresentato dall’edificio a energia zero, lo ZEB, che è caratterizzato da un fabbisogno pari a 0 kWh/m2|a, calcolato in termini di energia primaria non rinnovabile e ottenuto senza esportare vettori energetici prodotti dall’edificio. Esiste poi una terza tipologia di edificio, a energia netta zero o nZEB, da non confondere con il primo, che bilancia le richieste di energia con una sovrapproduzione di energia elettrica che interscambia con la rete elettrica.

Evidenziato che, se un edificio deve fornire dei servizi quali climatizzazione ambientale e acqua calda sanitaria deve utilizzare energia e quindi, per il principio di conservazione della stessa, non può mai e poi mai avere una richiesta energetica nulla, si può invece richiedere che una tipologia di energia a questi fini impiegata sia nulla o quasi nulla. Questo vuol dire che, a parità di energia richiesta dai servizi resi, si sostituisce l’una con l’altra. In particolare, siccome l’obbietto dichiarato della Direttiva 2010/31/UE è la riduzione della CO2 emessa dai processi di combustione dei combustibili fossili, la richiesta è quella di ridurre al massimo possibile l’impiego di tale forma di energia, che va sotto il nome di energia primaria non rinnovabile.

Edifici NZEB per la riduzione della CO2

Quindi, un edificio che fornisce servizi si può definire ZEB solo in termini di energia primaria e se e solo se il suo fabbisogno di energia primaria non rinnovabile è nullo, ovvero solo quando non c’è importazione di alcun vettore energetico non rinnovabile. Va sottolineato che un edificio net ZEB potrebbe non soddisfare questo requisito, in quanto bilancia la richiesta di importazione di vettori energetici non rinnovabili con l’esportazione di vettori energetici prodotti dall’edificio da fonti rinnovabili disponibili in loco (bilancio energetico in/out nullo), e quindi non assicura la minimizzazione, a livello dell’edificio, dell’impiego di energia da fonte non rinnovabile.

La direttiva prevede che per gli NZEB (prestazione energetica espressa in kWh/m2|a) siano definiti anche indicatori specifici relativi al fabbisogno di energia primaria per ciascun servizio (x) reso all’edificio (riscaldamento, climatizzazione invernale, raffrescamento, climatizzazione estiva, ventilazione, illuminazione, trasporto di persone).

Quindi, facendo riferimento esclusivamente all’energia primaria non rinnovabile, per ciascun servizio a uno ZEB risulta EP,x= 0, mentre applicandola a uno NZEB, vale la relazione: 0 < EP,x < EP,x|lim dove l’energia primaria limite, EPx|lim, va fissata con una procedura di cost optimality, che rappresenta un criterio fondamentale della Direttiva. Ragionare in termini di cost optimality è fondamentale perché è impensabile fissare un limite impositivo che non prenda in considerazione gli extracosti necessari per soddisfarlo, giacché le risorse economiche sono finite e quelle disponibili occorre impiegarle al meglio.

Per chiarire meglio le idee sulla differenza tra NZEB e net ZEB, si consideri un edificio NZEB che abbia un consumo di energia primaria non rinnovabile specifico pari a 6 kWh/m2|a, che in questo caso rappresenta la quantità di energia primaria importata prodotta da fonti non rinnovabili. Lo stesso consumo netto di energia primaria in un edificio nZEB può essere ottenuto a partire da un consumo di energia primaria prodotta da fonte non rinnovabile pari a 10 kWh/m2|a o a 200 kWh/m2|a, al quale corrisponde una produzione dello stesso o di altro vettore energetico da fonte rinnovabile e l’esportazione al sistema energetico regionale o nazionale pari rispettivamente a 4 kWh/m2|a (10 – 4 = 6) o a 194 kWh/m2|a (200 – 194 = 6). Questa indeterminazione è resa possibile dall’impiego di fattori di conversione dell’energia primaria impropri: in un bilancio che riguarda esclusivamente l’energia primaria non rinnovabile si considera l’energia prodotta in loco da fonte rinnovabile ed esportata come risparmio di energia non rinnovabile effettuato da terzi interconessi attraverso il sistema energetico regionale/nazionale (energia primaria non rinnovabile evitata).

Quindi, mentre un NZEB è definito sulla base di una prestazione che è una caratteristica dell’edificio, un nZEB è in grado di fornire certe prestazioni in maniera non univoca, e in funzione del sistema energetico regionale e/o nazionale con cui si interfaccia; ciò significa che confondere un NZEB con un nZEB significa confondere una proprietà dell’edificio con una relazione tra l’edificio e il sistema energetico con cui questo si interfaccia.

Cosa vuol dire che da gennaio 2021 lo NZEB è un parametro obbligatorio in Italia per tutti i nuovi edifici?

Il D.Lgs. 192/2005 e s.m.i di recepimento italiano della EPBD prevedeva due scadenze temporali importanti per gli edifici ad energia quasi zero, (di seguito NZEB – Nearly Zero Energy Building) una per il settore del pubblico e una per il settore privato.

Successivamente con la pubblicazione del DM 26 giugno 2015 conosciuto anche come “Decreto Requisiti Minimi” sono stati specificati i requisiti sia in termini di caratteristiche dell’involucro sia degli impianti che tali edifici devono conseguire per essere definiti NZEB, ovvero edifici ad altissima prestazione energetica, il cui fabbisogno energetico, molto basso o quasi nullo, è coperto in misura significativa da energia da fonti rinnovabili, prodotta all’interno del confine del sistema (in situ).

Cosa sono gli edifici Nzeb

I precedenti decreti prevedono quindi che tutte le nuove costruzioni occupate da pubbliche amministrazioni e di proprietà di queste ultime, ivi compresi gli edifici scolastici, devono essere NZEB a partire dal 31 dicembre 2018, mentre a partire dal 1° gennaio 2021, l’obbligo è stato esteso a tutti gli edifici di nuova costruzione, quindi anche per i privati. Questo vuol dire che tutti i permessi per costruire nuovi edifici presentati a partire dal 1° gennaio scorso, dovranno essere edifici ad energia quasi zero,

Il Decreto Requisiti Minimi definisce gli edifici NZEB come quelli, di nuova costruzione o esistenti, per cui sono contemporaneamente rispettati:

  • tutti i requisiti previsti con i valori vigenti dall’1° gennaio 2021, in termini di verifica dei parametri prestazionali sia dell’involucro edilizio sia degli impianti, definiti dal decreto.
  • gli obblighi di integrazione delle fonti rinnovabili nel rispetto dei principi minimi definiti dal D.Lgs. 28/11, ovvero la copertura del 50% da FER e tutte le prescrizioni previste dall’Allegato 3 di tale Decreto.

Bisogna fare attenzione alle variazioni regionali in quanto alcune regioni, come per esempio la Lombardia, avevano anticipato al 2015 tutti l’obbligo di NZEB per tutte le nuove costruzioni sia pubbliche sia private.

L’ottobre scorso è stata raggiunta l’intesa da parte della Conferenza Stato Regioni sul testo dello schema di recepimento della direttiva RED II (2018/2001/UE) sulla promozione dell’uso delle fonti rinnovabili, che abroga e sostituisce il D.Lgs. 28/2011, innalzando la quota di copertura da FER per tutte le nuove costruzioni dal 50% al 60%, il contemporaneo rispetto della copertura sia dei consumi previsti per la produzione di acqua calda sanitaria e sia della somma dei consumi previsti per la produzione di acqua calda sanitaria, la climatizzazione invernale e la climatizzazione estiva.

Chi è e perché sta diventando così importante la figura del prosumer?

Alvin Toffler nel 1980 nel suo libro “The third wave” coniò per la prima volta il termine “prosumer” che è una crasi dei termini producer e consumer, che indica un consumatore che è a sua volta produttore o, nell’atto stesso che consuma, contribuisce alla produzione. Oggi il decreto di recepimento della direttiva europea sulle fonti energetiche rinnovabili UE 2018/2001, lo definisce “autoconsumatore di energia rinnovabile“: cliente finale che produce energia elettrica rinnovabile per il proprio consumo e può immagazzinare o vendere energia elettrica rinnovabile autoprodotta sulla base di specifiche condizioni. Tali autoconsumatori di energia rinnovabile possono anche aggregarsi e agire collettivamente all’interno di una energy community.

perché sta diventando così importante la figura del prosumer

Un autoconsumatore di energia rinnovabile sostanzialmente produce e accumula e vende energia e per fare questo deve:

  1. produrre e accumulare energia elettrica rinnovabile per il proprio consumo, realizzando un impianto di produzione a fonti rinnovabili direttamente interconnesso all’utenza del cliente finale. In tal caso, l’impianto dell’autoconsumatore di energia rinnovabile può essere di proprietà di un terzo o gestito da un terzo in relazione all’installazione, all’esercizio, compresa la gestione dei contatori, e alla manutenzione, purché il terzo resti soggetto alle istruzioni dell’autoconsumatore di energia rinnovabile. Il terzo non è di per sé considerato un autoconsumatore di energia rinnovabile;
  2. con uno o più impianti di produzione da fonti rinnovabili ubicati presso edifici o in siti diversi da quelli presso il quale l’autoconsumatore opera, fermo restando che tali edifici o siti devono essere nella disponibilità dell’autoconsumatore stesso. In tal caso, l’autoconsumatore può utilizzare la rete di distribuzione esistente per condividere l’energia prodotta dagli impianti a fonti rinnovabili e consumarla nei punti di prelievo nella titolarità dello stesso autoconsumatore.
  3. vende l’energia elettrica rinnovabile autoprodotta e offre servizi ancillari e di flessibilità, eventualmente per il tramite di un aggregatore.

Nel caso in cui più clienti finali si associno per divenire autoconsumatori di energia rinnovabile che agiscono collettivamente:

  1. gli autoconsumatori devono trovarsi nello stesso edificio o condominio;
  2. ciascun autoconsumatore può produrre e accumulare energia elettrica rinnovabile ovvero possono essere realizzati impianti comuni;
  3. si utilizza la rete di distribuzione per condividere l’energia prodotta dagli impianti a fonti rinnovabili, anche ricorrendo a impianti di stoccaggio, con le medesime modalità stabilite per le comunità energetiche dei cittadini l’energia autoprodotta è utilizzata prioritariamente per i fabbisogni degli autoconsumatori e l’energia in eccesso può essere accumulata e venduta anche tramite accordi di compravendita di energia elettrica rinnovabile, direttamente o mediante aggregazione;
  4. la partecipazione al gruppo di autoconsumatori di energia rinnovabile che agiscono collettivamente non può costituire l’attività commerciale e industriale principale delle imprese private.

Il ruolo del prosumer o autoconsumatore di energia da FER gioca un ruolo fondamentale in quanto le FER rappresentano la capacità di generare energia attraverso un impegno individuale in chiave di distribuzione territoriale; sono fonti a costo marginale nullo e rappresentano la forma più evidente di energia come bene comune, pertanto assicurano, se inserite in un quadro organico e territoriale, energia pulita, sicura e accessibile a tutti. Le fonti rinnovabili costituiscono una caratteristica delle Comunità Energetiche e in questo ambito devono essere affrontate quelle che oggi costituiscono le barriere al loro sviluppo. La prima, quella della loro “non programmabilità”, è superata con la strutturazione di flussi bi-direzionali di energia, non solo dalla produzione al consumo, ma anche in senso inverso dagli autoproduttori verso la rete di distribuzione. Tale struttura è inserita in quella comunità formata da prosumer o autoconsumatori che prevede anche l’introduzione di sistemi sempre più sofisticati ed efficienti di accumulo (non solo elettrochimici, ma termici, idroelettrici, a idrogeno), inevitabilmente necessari quando la generazione energetica fornita da fonti rinnovabili supererà un valore critico: si parla del 30-50% della produzione energetica totale, anche se attualmente in Italia abbiamo raggiunta una quota sempre inferiore al 40% (ad eccezione del 2014, un anno molto piovoso) della produzione netta di energia elettrica attraverso le fonti energetiche rinnovabili.

Il primo cambiamento quindi è quello del coinvolgimento operativo di ogni individuo nei programmi e nelle decisioni sul tema dell’energia. Cambiare il modello energetico significa cambiare la società, perché definisce un ruolo nuovo per l’individuo, che deve essere positivamente e volontariamente costretto a un atteggiamento più consapevole e attivo sia come consumatore, smart user, sia come produttore, prosumer.

Cosa pensa sulle future smart cities? Come dovranno davvero essere e come sono oggi?

La popolazione mondiale nel 2050 sarà oltre i 9 miliardi di persone, il 70% delle quali vivrà nelle città.

Circa il 70-80% della produzione mondiale di energia è destinata a soddisfare il fabbisogno energetico delle città, le quali sono responsabili di circa l’80% delle emissioni globali di gas serra.

Il ruolo delle smart city per il futuro energetico

A mio avviso gli ambiti principali su cui è possibile valutare il grado di smartness di una città sono sei:

  1. Smart Economy, ovvero la creazione di un ambiente propenso allo sviluppo delle imprese e l’empowerment delle persone;
  2. Smart Environment, ovvero attenzione alla sostenibilità ambientale della città;
  3. Smart Governance: ovvero fruizione più agevole dei servizi offerti alla cittadinanza (e-Government) ed una partecipazione attiva della stessa alla vita amministrativa della città (e-Democracy);
  4. Smart Mobility, ovvero ottimizzazione della mobilità all’interno dell’ambito cittadino;
  5. Smart Living, ovvero attenzione al miglioramento della vivibilità per i cittadini in ambito urbano
  6. Smart People, ovvero creazione di un ambiente propenso allo sviluppo culturale.

Penso che le Smart Cities & Communities rappresentano, in un contesto di crescente urbanizzazione, un mezzo ideale per promuovere politiche industriali particolarmente innovative: a livello di governance si stanno immaginando piani per rendere possibile l’attivazione di una adeguata mole di investimenti pubblico-privati che integrino le progettualità esistenti in interventi a più alto impatto, per Città ancora più intelligenti, le Smarter Cities. La Smart City può rappresentare quindi un punto di integrazione e coordinamento di diverse strategie di settore scientifico, tecnologico e industriale, finalizzato a restituire coerenza al frammentato e spesso confuso sistema di politiche nazionali per la ricerca e l’innovazione, utilizzando come unità di aggregazione non un settore industriale o scientifico, ma un perimetro applicativo di problemi molto ampio legato anche a sfide sociali ed economiche.

Quella della Smart City è un’opportunità che le Pubbliche Amministrazioni italiane dovrebbero oggi interpretare in modo bivalente. Da un lato la volontà di intercettare le potenzialità offerte dal programma comunitario Smart City, ma anche dai Fondi Strutturali, che metteranno a disposizione delle città europee significative risorse nei prossimi anni, dall’altro un’occasione per costruire nuove ipotesi strategiche del futuro delle singole città e offrire agli investitori privati una prospettiva credibile e stabile di investimenti nel medio periodo.

Se potessimo prevedere il futuro, ma ancora di più inventarcelo, cosa si immagina tra 10 /20 anni?

Per quanto riguarda la generazione di energia, immagino un futuro diversificato, non fossilizzato su un’unica fonte fossile (non riusciremo ad abbandonare completamente le fonti fossili, in quanto la transizione è ancora lunga), ma sicuramente raggiungeremo una generazione distribuita e diversificata su tanti vettori energetici rinnovabili e di conseguenza più sostenibile rispetto al panorama attuale.

Ruolo centrale lo avranno i prosumer sia rinnovabili sia non che forniranno un contributo essenziale alla risoluzione dei problemi di bilanciamento e approvvigionamento della rete elettrica. I prosumer, anche se singolarmente di piccola taglia, potranno aggregarsi in UVAM (Unità Virtuali Abilitate Miste) ed essere abilitati al mercato dei servizi, come la regolazione secondaria di frequenza/potenza.

Per quanto concerne invece il settore edilizio, auspico in una riqualificazione profonda del nostro parco edilizio, che sia però attenta non solo all’efficienza energetica, ma anche alla Indoor Enviromental Quality, con particolare attenzione alla qualità dell’aria degli ambienti interni. Ma soprattutto vedere conseguiti gli obiettivi che ci siamo posti come Europa per il 2050.

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