Rapporto UNEP-IUCN: a che punto siamo per proteggere il 30% del pianeta entro il 2030?

Il nuovo rapporto UNEP-WCMC e IUCNProtected Planet Report 2024” traccia i progressi globali nella protezione del 30% del pianeta entro il 2030. L’obiettivo resta ambizioso e non privo di difficoltà, ma rimane alla portata se la comunità internazionale intensifica gli sforzi, migliorando la qualità e l’equità della governance delle aree protette.

Rapporto UNEP-IUCN: a che punto siamo per proteggere il 30% del pianeta entro il 2030?

La protezione della biodiversità terrestre e marina è una delle sfide più ambiziose e importanti per il futuro della Terra e delle sue specie.

Il rapporto “Protected Planet Report 2024“, elaborato dal Centro mondiale di monitoraggio della conservazione del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP-WCMC) e dall’Unione internazionale per la conservazione della natura (IUCN), traccia i progressi fatti e i traguardi ancora da raggiungere. L’obiettivo del 30% entro il 2030 è ancora possibile, ma il rapporto evidenzia come sia necessario accelerare gli impegni per proteggere queste aree del pianeta, sia terrestri che marine.

Stato attuale della protezione del pianeta

Il report rileva che, a oggi, il 17,6% delle terre emerse e delle acque interne e l’8,4% degli oceani e delle aree costiere sono sottoposti a protezione documentata e conservazione. Si tratta di un dato in incremento rispetto al 2020, con un’estensione aggiuntiva pari a oltre il doppio della superficie della Colombia. Tuttavia, si tratta di una crescita inferiore allo 0,5% per entrambe le categorie, segno che non si sta avanzando al ritmo necessario. Per rispettare il target globale, occorrerebbe designare alla protezione entro il 2030 un’area grande più o meno come Brasile e Australia messi insieme, oltre a una superficie marina superiore a quella dell’Oceano Indiano.

L’obiettivo di proteggere e conservare il 30% delle terre e degli oceani nasce nell’ambito del Kunming-Montreal Global Biodiversity Framework, adottato nel 2022, che stabilisce il Target 3 della Convenzione sulla biodiversità (CBD). Quest’ultimo prevede non solo l’espansione delle aree protette, ma anche che tali aree siano gestite in modo equo, collocate strategicamente e rispettose dei diritti umani, in particolare delle popolazioni indigene e delle comunità locali, che spesso si rivelano i custodi più preziosi di questi ecosistemi.

Aree protette e il ruolo delle comunità locali

Uno degli aspetti più rilevanti è quello della qualità, oltre che della quantità, della protezione: solo un quinto delle aree identificate come fondamentali per la biodiversità è totalmente protetto, mentre un ulteriore terzo di queste aree rimane al di fuori di qualunque sistema di conservazione. Il rapporto evidenzia come solo l’8,5% delle terre del pianeta sia attualmente protetto e ben connesso, lasciando ampi spazi vulnerabili e minacciati.

Altra questione importante è il ruolo delle comunità indigene e locali nella gestione delle aree protette: nonostante coprano almeno un ulteriore 13,6% delle aree terrestri globali, solo il 4% delle zone formalmente protette è attualmente gestito da comunità indigene. In aggiunta, i dati relativi alla governance equa sono scarsi: solo lo 0,2% delle aree terrestri e meno dello 0,01% di quelle marine sono sottoposte a valutazioni di equità nella gestione.

Sfide e opportunità per un futuro sostenibile

La protezione del pianeta non riguarda solo l’espansione delle aree designate, ma include anche la loro gestione efficace e la salvaguardia dei diritti delle comunità locali. A fronte delle difficoltà, il rapporto sottolinea la necessità di agire rapidamente e con determinazione su diversi fronti, riconoscendo che la finestra temporale per raggiungere questo obiettivo si sta riducendo rapidamente.

Per colmare le lacune ancora esistenti e consentire al mondo di raggiungere il Target 3, sono indispensabili azioni coordinate e investimenti adeguati. Per raggiungere l’obiettivo del 30% entro il 2030, le aree protette e conservate devono quasi raddoppiare la loro superficie sulla terraferma e più che triplicare negli oceani.
Ad oggi, meno del 5% della superficie terrestre è coperta da aree protette con gestione efficace; questo dato scende al 1,3% nelle aree marine, il che dimostra come la capacità di misurare e garantire la reale efficacia delle aree protette sia ancora limitata.

In questo percorso non si può prescindere dal sostegno finanziario internazionale. I Paesi, infatti, hanno assunto l’impegno di aumentare l’investimento globale in biodiversità a 200 miliardi di dollari all’anno entro il 2030, cifra necessaria per sostenere adeguatamente l’espansione e il miglioramento delle aree protette, specie nei Paesi in via di sviluppo. Questo investimento dovrebbe includere anche l’adozione di nuovi sistemi di monitoraggio e di reportistica trasparente e in tempo reale, che rendano possibile valutare l’effettiva governance, la qualità della gestione e il rispetto dei diritti umani delle aree designate.

L’impegno collettivo, sottolineano gli autori del report, può avere un impatto positivo e permettere di realizzare un sistema di aree protette che funzioni sia per la natura che per le popolazioni che vivono nelle vicinanze. Gli esperti di UNEP-WCMC e IUCN sottolineano inoltre come, con un’adeguata organizzazione, questi traguardi possano non solo essere raggiunti, ma anche generare benefici a lungo termine, sia ecologici che socio-economici, per le generazioni future.

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