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A cura di: Giorgio Pirani Indice degli argomenti: Gli ultimi dati sulla desertificazione nel mondo Come possiamo aiutare il pianeta: le iniziative I dati italiani: il nostro Paese è sempre più arido Il 5 giugno di ogni anno dal 1972 si celebra la Giornata Mondiale dell’Ambiente. Un evento significativo, istituito dal Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP), che mira a incoraggiare un cambiamento positivo nelle abitudini quotidiane delle persone e nelle politiche governative e che coinvolge più di 100 paesi in difesa dell’ecosistema. Si tratta di un’occasione di confronto sui temi della sostenibilità ambientale, della salvaguardia del pianeta e della diminuzione delle emissioni di CO2. Il Paese ospitante quest’anno è l’Arabia Saudita. il tema “Rigenerazione della Terra”, sottolinea l’urgenza di ripristinare gli ecosistemi e combattere la desertificazione e la siccità. Un tema scelto proprio per ricordare il 30° anniversario della Convenzione delle Nazioni Unite per la lotta alla desertificazione, firmato a Parigi nel 1994 Gli ultimi dati sulla desertificazione nel mondo La campagna di quest’anno, centrata sulla “Generation Restoration”, invita individui, comunità e nazioni a impegnarsi attivamente nella rigenerazione ambientale. Un tema che riguarda personalmente la stessa Arabia Saudita, essendo una nazione alle prese con la desertificazione e la siccità, con il paese che è profondamente impegnato a cercare soluzioni in tal senso. Secondo gli esperti Onu, il 40% delle terre emerse del nostro Pianeta è minacciato dalla desertificazione. Un fenomeno che ogni anno trasforma 12 milioni di ettari di terra fertile – un’area grande tre volte la Svizzera – in deserto. Tutto questo influenza direttamente metà della popolazione mondiale e mette a rischio circa la metà del Pil globale, pari a 44 trilioni di dollari. Dal 2000, il numero e la durata dei periodi di siccità sono aumentati del 29%; senza un’azione urgente, entro il 2050 la siccità potrebbe colpire oltre tre quarti della popolazione mondiale. La salvaguardia dell’ambiente è uno degli obiettivi dell’Agenda 2030, che prevede di “proteggere, ripristinare e promuovere l’uso sostenibile degli ecosistemi terrestri, gestire in modo sostenibile le foreste, contrastare la desertificazione, arrestare e invertire il degrado dei suoli e fermare la perdita di biodiversità”. Come siccità e desertificazione cambiano il volto del pianeta Tra il 1983 e il 2009, circa tre quarti delle aree coltivate globali (circa 454 milioni di ettari) hanno subito perdite di rendimento dovute alla siccità, con perdite cumulative di produzione che ammontano a 166 miliardi di dollari. Si prevede che il cambiamento climatico e l’aumento del riscaldamento globale comporteranno un incremento dei rischi di siccità, inondazioni e danni sociali. È dunque fondamentale adottare misure di mitigazione e adattamento per affrontare tali impatti e proteggere il nostro pianeta. Come possiamo aiutare il pianeta: le iniziative La Terra ha quindi bisogno di aiuto. La crisi planetaria minaccia di distruggere la nostra casa ed eliminare milioni di specie. Ma abbiamo il potere e la conoscenza per invertire i danni e ripristinare l’ambiente, se agiamo ora. Il processo di rinascita degli spazi naturali viene chiamato ripristino dell’ecosistema e già molti paesi nel mondo stanno facendo qualcosa. Tra 765 milioni e 1 miliardo di ettari di terreno in tutto il mondo sono destinati al ripristino. Quasi la metà di questi terreni si trova in Africa sub-sahariana, con impegni significativi anche in Asia e America Latina. I paesi stanno dimostrando che i lavori di ripristino rientrano nel Decennio delle Nazioni Unite per il ripristino degli ecosistemi, un’iniziativa globale per far rivivere ecosistemi danneggiati come foreste, praterie e zone umide. Il ripristino di un miliardo di ettari di terreno ora degradato contribuirà significativamente al raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile, invertendo la perdita di biodiversità e mitigando il cambiamento climatico. A tal proposito, nel 2022 è stato firmato il Kunming-Montreal Global Biodiversity Framework, un patto fondamentale per la protezione della natura che impegna i paesi a garantire che entro il 2030 almeno il 30% degli ecosistemi degradati terrestri, delle acque interne, marini e costieri siano sottoposti a un efficace ripristino. A dare una mano c’è anche il World Restoration Flagships, una serie di iniziative ambiziose per ripristinare ecosistemi desertificati e degradati. Queste utilizzano tecnologie e pratiche innovative per il ripristino di queste terre, come l‘uso di droni per piantare alberi in aree difficili da raggiungere e la bioingegneria per stabilizzare i suoli erosi; tecniche all’avanguardia che stanno mostrando risultati promettenti. I dati italiani: il nostro Paese è sempre più arido “L’Italia è impegnata a vincere la sfida contro la siccità e la desertificazione, in un contesto di cambiamento climatico che mette a rischio i sistemi naturali, incidendo negativamente sulle prospettive di crescita del Paese”, aveva affermato Gilberto Pichetto, Ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, in occasione della Giornata mondiale per la lotta alla desertificazione e alla siccità dello scorso anno. Secondo le ultime stime dell’Ispra, quasi un terzo del territorio nazionale (28%) è degradato e a rischio di desertificazione. Siccità, degrado del suolo e desertificazione sono problemi ambientali interconnessi che possono generare emergenze con impatti gravi su economia, ambiente e agricoltura. Negli ultimi anni, il “trend” climatico ha mostrato un aumento del ritmo e dell’intensità dei fenomeni siccitosi, anche nella regione del Mediterraneo e nel nostro Paese. Secondo l’Anbi, l’associazione italiana dei Consorzi di bacino, in Sicilia il 70% della superficie presenta un grado medio-alto di vulnerabilità ambientale, seguono Molise (58%), Puglia (57%), Basilicata (55%). Sei regioni (Sardegna, Marche, Emilia Romagna, Umbria, Abruzzo e Campania) presentano una percentuale di territorio a rischio desertificazione, compresa fra il 30% e il 50%, mentre altre 7 (Calabria, Toscana, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Lombardia, Veneto e Piemonte) sono fra il 10% ed il 25%. 5/06/2023 Giornata mondiale dell’ambiente: è tempo di #BeatPlasticPollution Come ogni anno dal 1972, il 5 giugno è la Giornata globale dell’ambiente, appuntamento importante promosso all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Il tema della Giornata Mondiale dell’Ambiente 2023, organizzata ogni anno delle Nazioni Unite il 5 giugno, è stimolare un impegno globale per sconfiggere l’inquinamento da plastica: #BeatPlasticPollution Il tema scelto dall’ONU per il 2023 è la lotta all’inquinamento da plastica monouso #BeatPlasticPollution, con l’obiettivo di stimolare le azioni di governi, imprese, associazioni e cittadini, accelerando l’impegno per passare a un’economia circolare. L’uso della plastica e le conseguenze sull’ambiente E’ noto che la plastica abbia molti usi utili, ma la dipendenza di tutti noi dai prodotti di plastica monouso, ha provocato gravi conseguenze ambientali, sociali, economiche e sanitarie. I rifiuti di plastica – presenti nei fiumi, nell’oceano o sulla terraferma – possono persistere nell’ambiente per secoli. Le stesse proprietà che rendono la plastica così utile – la sua durata e la sua resistenza al degrado – la rendono anche quasi impossibile da smantellare completamente per la natura. La maggior parte degli oggetti di plastica non scompare mai del tutto, ma si scompone in pezzi sempre più piccoli. Queste microplastiche sono presenti anche nell’aria, nell’acqua e nel cibo e e raggiungono perciò i nostri polmoni e le nostre tavole. Uno studio ha recentemente rilevato la presenza di microplastiche nella placenta dei neonati. Gli effetti sulla salute sono ancora sconosciuti, ma secondo alcuni studi le sostanze chimiche associate alla plastica, come il metilmercurio, i plastificanti e i ritardanti di fiamma, possono entrare nell’organismo. Nei Paesi in cui i sistemi di gestione dei rifiuti solidi sono carenti, i rifiuti di plastica – in particolare i sacchetti di plastica monouso – possono intasare le fognature e costituire terreno fertile per zanzare e parassiti, aumentando così la trasmissione di malattie come la malaria. Nel mondo, ogni minuto vengono acquistate un milione di bottiglie di plastica (e purtroppo in Italia vantiamo un triste primato), ogni anno vengono utilizzati fino a 5.000 miliardi di sacchetti di plastica. In totale, la metà di tutta la plastica prodotta, nasce per essere utilizzata una sola volta e poi gettata via. Il WWF, che in occasione della Giornata dell’Ambiente ha pubblicato il Report “Plastica: dalla natura alle persone. È ora di agire” ci ricorda che i danni per specie e salute umana sono (quasi) irreversibili. “L‘inquinamento da plastica in Natura ha superato il “limite planetario” (Planetary boundary), oltre il quale non c’è più la sicurezza che gli ecosistemi garantiscano condizioni favorevoli alla vita”. Le plastiche, comprese le microplastiche, sono ormai parte integrante del nostro ambiente naturale e sono un segno distintivo dell’Antropocene, la nostra attuale era geologica, tanto da aver dato il nome a un nuovo habitat marino microbico chiamato “plastisfera“. Come siamo arrivati qui? Dagli anni Cinquanta agli anni Settanta, la produzione di plastica è stata minima, nei successivi 20 anni la produzione di plastica, e di conseguenza dei suoi rifiuti, è più che triplicata. All’inizio degli anni 2000, la quantità di rifiuti di plastica generati è aumentata in un solo decennio più dei 40 anni precedenti. Oggi produciamo circa 400 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica all’anno. Inoltre, dagli anni ’70 il tasso di produzione della plastica è cresciuto più velocemente di quello di qualsiasi altro materiale, continuando agli attuali tassi, si prevede che la produzione globale di plastica toccherà i 1.100 milioni di tonnellate entro il 2050. Preoccupa che negli ultimi anni sia aumentata la produzione di prodotti di plastica monouso, usa e getta. Secondo le stime dell’UNEP, circa il 36% della plastica prodotta viene utilizzata per gli imballaggi, compresi i prodotti di plastica monouso per i contenitori di alimenti e bevande, e l’85% di questi finisce in discarica o come rifiuto non regolamentato. Ma non solo, il 98% dei prodotti in plastica monouso è prodotto a partire da combustibili fossili, o materie prime “vergini”. Si prevede che il livello di emissioni di gas serra associate alla produzione, all’uso e allo smaltimento delle plastiche convenzionali a base di combustibili fossili crescerà fino al 19% del bilancio totale delle emissioni di carbonio entro il 2040. Economia circolare per la plastica I dati relativi alle plastiche disperse nell’ambiente sono più che preoccupanti, parliamo di milioni di tonnellate: dei sette miliardi di tonnellate di rifiuti di plastica generati a livello globale, meno del 10% è stato riciclato. La perdita annua stimata del valore dei rifiuti di imballaggio in plastica durante la selezione e la lavorazione è di 80-120 miliardi di dollari. Gli articoli più comuni di rifiuti plastici presenti nell’ambiente sono i mozziconi di sigaretta – i cui filtri contengono minuscole fibre di plastica, gli involucri degli alimenti, le bottiglie di plastica, i tappi delle bottiglie, le buste per la spesa, le cannucce. L’impatto della plastica sull’inquinamento di mari e oceani Tali rifiuti sono in gran parte trasportati da fiumi e laghi dall’entroterra fino al mare, contribuendo in modo determinante all’inquinamento degli oceani. Si stima che nei nostri oceani si trovino attualmente da 75 a 199 milioni di tonnellate di plastica. Se non cambiamo il modo in cui produciamo, usiamo e smaltiamo la plastica, la quantità di rifiuti di plastica che entra negli ecosistemi acquatici potrebbe quasi triplicare, passando dai 9-14 milioni di tonnellate all’anno del 2016 ai 23-37 milioni di tonnellate all’anno previsti per il 2040. “Se accadrà, ci dice lo studio del WWF, tra 30 anni nel mare ci potrebbero essere più plastiche che pesci”. Secondo le analisi, 1.000 fiumi sono responsabili di quasi l’80% delle emissioni annuali di plastica fluviale nell’oceano, che variano tra 0,8 e 2,7 milioni di tonnellate all’anno. E’ una vera e propria emergenza che sta distruggendo i mari e gli oceani, con conseguenze anche su ciò che noi mangiamo e beviamo: le stime dicono che il 90% di acqua in bottiglia e l’83% di acqua di rubinetto contengono particelle di plastica. Facendo un esempio, il fiume Mississippi in America drena il 40% degli Stati Uniti continentali, creando un condotto per i rifiuti che raggiungono il Golfo del Messico e poi l’oceano. I dati raccolti dalla Mississippi River Plastic Pollution Initiative mostrano che oltre il 74% dei rifiuti catalogati nei siti pilota lungo il fiume sono di plastica. Per fortuna i governi, l’industria e le altre parti interessate stanno iniziando ad agire. I governi in particolare sono attori chiave nella catena del valore della plastica e possono fare diverse cose: Possono vietare i prodotti in plastica di cui non abbiamo bisogno Possono promuovere l’innovazione in modo che le materie plastiche di cui abbiamo bisogno siano progettate e introdotte nell’economia in modo da consentirne il riutilizzo. Devono sostenere l’uso della plastica in ottica di economia circolare Esiste anche una serie di azioni che l’industria della plastica può intraprendere per accelerare questo cambiamento sistematico. Possono eliminare gli imballaggi o i prodotti in plastica non necessari, riprogettandoli e innovando i propri modelli commerciali per passare dai prodotti in plastica monouso a quelli riutilizzabili. Dovrebbero inoltre fornire informazioni trasparenti sulla sostenibilità, in modo che i consumatori possano fare acquisti consapevoli. Possono anche aumentare l’uso di contenuto riciclato nei nuovi in ottica di economia circolare. Ma ricordiamoci che tutti noi, come cittadini, possiamo agire per limitare l’uso della plastica. Maglia nera all’Italia Nel report appena pubblicato il WWF ricorda che l’Italia è tra i peggiori inquinatori da plastica tra i paesi affacciati sul Mediterraneo e siamo il secondo maggiore produttore di rifiuti plastici in Europa. L’Italia è il primo paese in Europa e il secondo nel mondo per il consumo di acqua in bottiglia. L’associazione ambientalista chiede al Governo italiano di allargare la raccolta differenziata dai soli imballaggi a tutti i prodotti in plastica di largo consumo in modo che possano essere trasformati in nuovi oggetti, risparmiando molta più materia prima e molte più emissioni di CO2 e facendo così crescere l’economia circolare. Attualmente i prodotti non riciclabili, perché non sono imballaggi, dalle sedie e arredamenti in plastica, dalle penne ai giocattoli, dagli utensili a scarpe e ciabatte, finiscono in discarica o a recupero energetico. Bisogna agire su 3 fronti: la prevenzione, riducendo la produzione e l’uso della plastica, il riuso sostenendo la riparazione dei prodotti e il riciclo. “L’obiettivo comune è porre fine all’inquinamento da plastica entro il 2040 e per raggiungerlo è urgente l’adozione da parte delle nazioni del mondo di un Trattato globale sulla plastica, in accordo con il mandato stabilito nella risoluzione del marzo 2022 dell’Assemblea delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEA) perché i danni all’ambiente causati dalla plastica e dalle sostanze chimiche ad essa associate sono di portata planetaria e trascendono i confini nazionali, avendo effetti sulla salute del pianeta e delle persone di tutto il mondo, spiega Eva Alessi, Responsabile Sostenibilità del WWF Italia. Articolo aggiornato Consiglia questa notizia ai tuoi amici Commenta questa notizia
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