Un mare di plastica (rifiuti): criticità e prospettive del consumo indiscriminato

I rifiuti di plastica sono onnipresenti nell’ambiente, nel cibo e nell’acqua. Ogni anno se ne producono 353 milioni di tonnellate e 11 milioni entrano nell’oceano mettendo in pericolo la vita degli animali. Un mare di inquinamento, destinato a peggiorare in fretta.

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Un mare di plastica (rifiuti): criticità e prospettive del consumo indiscriminato

L’invenzione di un polimero sintetico nel 1907 ha rivoluzionato le nostre vite. La plastica è uno dei materiali più versatili mai prodotti. Siamo abituati alla plastica, ne siamo sedotti e sommersi. Ogni giorno veniamo a contatto con un’infinità di prodotti che contengono plastica, dal cellulare alle penne, dalle sigarette alle carte di credito, ai prodotti per la cura e la pulizia, dagli occhiali da sole ai vestiti, bottiglie e imballaggi, e la troviamo persino nel cibo o nell’acqua che ingeriamo.

Da allora, la produzione globale è cresciuta in modo esponenziale, raggiungendo le 460 milioni di tonnellate all’anno nel 2019 ed è destinata a raddoppiare entro il 2040. E, impressionante, è la quantità di rifiuti generati: 353 milioni di tonnellate, di cui 11 milioni di tonnellate entrano nell’oceano ogni anno (entro il 2050 negli oceani ci saranno più rifiuti di plastica che pesci). Solo il 9% viene infatti correttamente riciclato, la metà finisce in discariche, il 22% va direttamente nell’ambiente e il resto viene bruciato.

L’inquinamento da plastica è ormai onnipresente: nei nostri oceani, nel suolo, nell’acqua potabile, nel corpo umano e degli animali e persino nell’aria. Sembrava che l’Europa andasse nella direzione giusta, con il bando di molti prodotti monouso in plastica, tra cui cannucce, piatti, bicchieri, posate. Ma poi il Coronavirus ha invaso il mondo con miliardi di mascherine, salviette e guanti usa e getta e, sull’onda dell’igienismo dilagante, molti prodotti prima facilmente acquistabili sfusi sono ormai imballati e implasticati, dalle zucchine alle melanzane a tutti gli ortaggi e frutta.

Mentre le politiche verdi europee hanno subito una battuta d’arresto, dopo l’avvento del Covid e le recenti guerre in Ucraina e Palestina, c’è sempre più un urgente bisogno di ricerche nel campo dell’auto elettrica e delle batterie, delle energie rinnovabili e idrogeno verde, ridurre la produzione di rifiuti e incrementare il riciclo, limitare il consumo di combustibili fossili e mitigare i cambiamenti climatici. Il bisogno di uno sviluppo che sia davvero sostenibile.

Non si vuole demonizzare la plastica, che è necessaria e insostituibile in molti prodotti e attività, ma capirne gli effetti di un consumo indiscriminato, le conseguenze ambientali e per la salute, gli interessi economici, le strategie di riduzione e sostituzione. Tenendo presente che l’inquinamento ha ripercussioni sulla nostra salute e la qualità del cibo che consumiamo.

Plastica: un materiale rivoluzionario

Sebbene la prima plastica aveva origini naturali – era il 1869 e dall’unione di nitrato di cellulosa (nitrocellulosa) e canfora, Parkers inventa la celluloide – la gran parte delle plastiche in circolazione hanno origini di natura fossile, derivano da petrolio e gas. Nel 1907, viene scoperta da L.H. Baekeland la resina fenolica o bachelite (bakelite), prodotto della condensazione tra fenolo (derivato dal benzene) e formaldeide, la prima di una lunga serie di plastiche sintetiche (nylon, pvc, poliestere, cellophane) che diverranno presto indispensabili in ogni campo di attività umana. Attualmente, a livello globale, sette polimeri di base dominano il mercato della plastica: polipropilene (PP), polietilene a bassa densità (LDPE), polivinilcloruro (PVC), polietilene ad alta densità (HDPE), polietilene tereftalato (PET), poliuretano (PUR) e polistirolo (PS).

Principali polimeri della plastica
Principali polimeri: applicazioni e rilevanza percentuale sulle quantità trasformate in Europa (Fonte: Plastics Europe the facts 2019)

Nel tempo, attraverso una serie di miglioramenti, si è arrivati alla plastica che conosciamo oggi: un materiale versatile, duttile, leggero, resistente, economico. Che ormai, è indispensabile in tutte le applicazioni: agricoltura, edilizia, salute, aeronautica, militare, alimentari, mobilità, elettronica, impiantistica, cosmetica e tanti prodotti di uso quotidiano. Dopo gli imballaggi, è il settore delle costruzioni quello che consuma più plastica (20% del consumo totale di materie plastiche in Europa): isolanti termici, tubazioni, infissi, membrane per coperture, pavimenti, lastre in policarbonato.

Dal 1950 ad oggi sono stati prodotti circa 9,2 miliardi di tonnellate di plastica, con la conseguente generazione di circa 6,9 miliardi di tonnellate di rifiuti plastici primari. Più di tre quarti di questi rifiuti di plastica sono stati scartati e sono finiti in discariche, flussi di rifiuti incontrollati e mal gestiti o nell’ambiente naturale, compresi gli oceani. Attualmente, si stima che 19-23 milioni di tonnellate di plastica si disperdano ogni anno negli ecosistemi acquatici – dai laghi ai fiumi ai mari – da fonti terrestri (fonte: UNEP).

Bambino nuota nel lago di Jawahar (India) coperto di rifiuti, 2014
Bambino nuota nel lago di Jawahar (India) coperto di rifiuti, 2014 (foto: Sanjeev Gupta)

La plastica è tanto necessaria, quanto inquinante e dannosa per la salute e l’ambiente. È un materiale quasi indistruttibile in natura (può impiegare centinaia di anni per decomporsi e intanto si accumula e viene assorbito e ingerito da animali, piante e uomo). Va considerato inoltre che quasi tutte le materie plastiche derivano da combustibili fossili, come petrolio e gas, e inquinano sia nella fase di produzione che nello smaltimento (il riciclo al momento è fermo al 9%). E presentano migliaia di pericolosi additivi chimici come ftalati, bisfenoli, metalli, pfas (interferenti endocrini e/o cancerogeni).

L’inarrestabile produzione della plastica

Negli ultimi venti anni, la produzione di plastica globale è raddoppiata, passando da 234 milioni di tonnellate (Mt) nel 2000 alla strabiliante cifra di 460 Mt al 2019. E in linea con questa tendenza, i rifiuti di plastica sono più che raddoppiati, passando da 156 Mt nel 2000, a 353 Mt nel 2019.

La produzione di plastica globale è raddoppiata in 20 anni

E le cose sono destinate a peggiorare molto rapidamente. In linea con le tendenze degli ultimi anni infatti, le previsioni sulla produzione della plastica indicano che raddoppierà nei prossimi vent’anni al 2040 e più che triplicherà al 2060, superando un miliardo di tonnellate l’anno. E, salvo drastici cambi di rotta, anche la quota dei rifiuti plastici da smaltire sarà tre volte tanto quella attuale.

Produzione della plastica: proiezioni al 2060
Produzione della plastica: proiezioni al 2060 (fonte: OECD)

Quasi due terzi di tutti i rifiuti di plastica proviene da applicazioni monouso, prodotti usa e getta, o comunque con una durata di vita inferiore a cinque anni: imballaggi (40%), prodotti di consumo (12%) e tessili (11%).

Alla fine, il 9% dei rifiuti di plastica è stato riciclato, il 19% è stato incenerito e quasi il 50% è finito nelle discariche autorizzate. Il restante 22% è stato smaltito in discariche non controllate, bruciato in fosse a cielo aperto o disperso nell’ambiente (dati OCSE).

Un mare di plastica: la crescente invasione dei rifiuti

Secondo una recente valutazione del Programma Ambientale delle Nazioni Unite (UNEP), gli 11 milioni di tonnellate di plastica stimati che attualmente entrano nell’oceano ogni anno sono destinati a triplicare nei prossimi vent’anni: entro il 2040, tra i 23 e i 37 milioni di tonnellate di plastica, finiranno nell’oceano ogni anno. La plastica rappresenta la frazione più grande, più dannosa e più persistente dei rifiuti marini, rappresentando almeno l’85% del totale dei rifiuti marini.

Secondo uno studio pubblicato su Nature, la massa (in peso) di tutta la plastica presente (8 Gt, ossia 8 miliardi di tonnellate) è il doppio della biomassa totale degli animali terrestri e marini messi insieme.

Biomassa vivente (animali) a confronto con la plastica, il verde e l'ambiente costruito
Biomassa vivente (animali) a confronto con la plastica, il verde e l’ambiente costruito (Elhacham et al., 2020).

Secondo il Global Plastics Outlook Database dell’OCSE, i rifiuti di plastica generati nel 2019 ammontano a 353 milioni di tonnellate. Di questi, l’OCSE ne genera quasi la metà: gli Stati Uniti rappresentano il 21%, l’Europa dell’OCSE il 19% e i restanti paesi dell’OCSE il 9%. Al di fuori dell’OCSE, la Cina produce il 19% dei rifiuti di plastica globali, l’India il 5% e il resto del mondo il 27%.

Produzione pro capite di rifiuti di plastica nel mondo e proiezioni al 2060
Produzione pro capite di rifiuti di plastica nel mondo e proiezioni al 2060 (OECD Global Plastics Outlook Database)

In termini di rifiuti pro capite, ci sono forti differenze nel mondo. Gli Stati Uniti sono campioni di rifiuti di plastica nel 2019, con 221 kg pro capite, mentre l’Europa dell’OCSE ha registrato una media di 114 kg di rifiuti di plastica pro capite. La produzione di rifiuti di plastica in Giappone e Corea è relativamente bassa per i paesi industrializzati, con una media di 69 kg pro capite. Infine, nel 2019 la Cina ha generato 47 kg di rifiuti di plastica per abitante, mentre l’India ne ha generati solo 14 kg per abitante.

Surf tra i rifiuti a Bali, Indonesia
Surf tra i rifiuti a Bali, Indonesia (foto di Zak Noyle)

Tuttavia, come vedremo, i fiumi, laghi, mari più inquinati si trovano dove se ne generano di meno, proprio in Asia, Filippine e India. Quel Terzo Mondo, da sempre sfruttato dal capitalismo occidentale per le loro risorse ed ora divenuti le discariche dell’Occidente, che qui esporta l’eccesso dei sui rifiuti inquinando lontano da sguardi indiscreti.

Quali paesi immettono più plastica nell’oceano?

Secondo l’ultima ricerca (Meijer et al., 2021), nel 2015 i fiumi hanno immesso negli oceani circa 1 milione di tonnellate di plastica. Dei circa 30.000 fiumi inquinanti individuati (su 100 mila), solo una piccola parte (1.000) sono responsabili di riversare negli oceani l’80 della plastica di tutto il mondo.

La maggior parte dei fiumi più grandi del mondo si trovano in Asia, alcuni anche nell’Africa orientale e nei Caraibi. Sette dei primi dieci fiumi si trovano nelle Filippine. Due sono in India e uno in Malesia.

L’81% della plastica negli oceani proviene dall’Asia. Un dato mastodontico che, tuttavia, non sorprende: il continente asiatico è infatti la regione più popolosa del mondo (vi risiede il 60% della popolazione mondiale) e, tutti i dieci fiumi con le maggiori emissioni si trovano in Asia (Filippine, India e Malesia). L’Africa era responsabile dell’8%; Sud America per il 5,5%; Nord America per il 4,5%; e l’Europa e l’Oceania insieme erano meno dell’1%. I Paesi occidentali hanno per anni esportato i loro rifiuti in questi paesi e continuano a farlo, anche se alcuni si stanno opponendo all’importazione dei rifiuti dall’estero.

A sinistra: Paesi che emettono più plastica negli oceani (Louis Lugas). A destra: I fiumi più inquinanti al mondo (Meijer et al., 2021)
A sinistra: Paesi che emettono più plastica negli oceani (Louis Lugas). A destra: I fiumi più inquinanti al mondo (Meijer et al., 2021)

Le Filippine rappresentano più di un terzo (36%) degli input di plastica, il che non sorprende dato che ospitano sette dei dieci principali fiumi e sono costituite da tante piccole isole dove la maggior parte della popolazione vive vicino alla costa. L’India rappresenta il 13% e la Cina il 7%.

Rifiuti immessi a livello globale negli oceani nel 2019

La Fondazione “The Ocean Cleanupha creato una mappa interattiva che mostra le emissioni di plastica dai fiumi negli oceani del mondo. E, un contatore in tempo reale, quantifica la quantità dei rifiuti immessi.

Terzo Mondo: la discarica dell’Occidente

Da quando la Cina ha deciso, dal gennaio 2018, la messa al bando dell’importazione di rifiuti esteri, di cui era un avido consumatore, si è avviata una crisi del commercio globale dei rifiuti. E l’Occidente ha cercato nuove rotte per ripulirsi dall’eccessiva produzione di spazzatura, la gran parte della quale è plastica.

Malesia: montagna di rifiuti di plastica
Malesia: montagna di rifiuti di plastica (Nandakumar S. Haridas / Greenpeace)

Da quando la Cina è uscita di scena (che accoglieva oltre il 40% dei rifiuti italiani), Malesia e Turchia sono diventati terreni fertili per l’esportazione dei rifiuti italiani (un terzo dei quali finisce al di fuori dell’UE). Ma è un cane che si morde la coda. Perché, come vedremo più avanti la Turchia è il maggior inquinatore del Mar Mediterraneo: quei rifiuti di plastica di cui pensiamo di sbarazzarci in realtà tornano a noi attraverso le stesse acque che bagnano le nostre coste. Oltre al danno anche la beffa.

Come documenta anche Presa Diretta con il servizio “Mal di Plastica” del marzo 2023, sono rifiuti spediti all’estero per essere teoricamente riciclati, ma molti di questi Paesi non sono dotati di impianti idonei per il riciclo e l’Italia non controlla: di fatto finiscono perlopiù in discariche o vengono disperse nell’ambiente.

Le esportazioni di rifiuti UE verso i paesi non UE hanno raggiunto 32,7 milioni di tonnellate nel 2020. Per arginare il fenomeno, il 27 febbraio 2024, l’Unione Europea ha approvato una normativa più severa per l’esportazione di rifiuti dall’UE verso paesi terzi. Le esportazioni di rifiuti di plastica verso paesi non appartenenti all’OCSE saranno vietate entro due anni e mezzo dall’entrata in vigore del regolamento, mentre quelle verso i paesi dell’OCSE saranno soggette a condizioni più rigorose. La spedizione di rifiuti destinati allo smaltimento in un altro paese dell’UE potrà essere autorizzata solo in via eccezionale.

Isole di plastica: The Great Pacific Garbage Patch

La plastica galleggiante che arriva nell’oceano tende ad accumularsi in vortici, in grandi isole artificiali di rifiuti, a causa della convergenza delle correnti marine. A largo dell’oceano Pacifico fra Canada, Stati Uniti e a nord delle isole Hawaii, a causa delle correnti oceaniche negli anni è venuta ad accumularsi una quantità enorme di plastica, da creare un’isola artificiale – denominata The Great Pacific Garbage Patch – dall’estensione stimata tra 700.000 e 10 milioni di chilometri quadrati. Per avere un’idea della vastità, basti pensare che l’intero mar Mediterraneo ha una superficie pari a 2,5 milioni di kmq.

Isole di plastica: The Great Pacific Garbage Patch

Si stima che la massa della plastica nel Great Pacific Garbage Patch sia di circa 100.000 tonnellate, che equivale al peso di 740 aerei Boeing 777: nell’area galleggiano un totale di 1,8 trilioni di pezzi di plastica, equivalente a 250 pezzi di detriti per ogni essere umano nel mondo. Tra i tanti rifiuti, è stata rinvenuta una cassetta di plastica prodotta nel 1977, quasi cinquant’anni di vita e ancora pressoché intatta.

Rifiuti rinvenuti nel Great Pacific Garbage Patch.
Rifiuti rinvenuti nel Great Pacific Garbage Patch. A sinistra, cassetta di plastica datata 1977. A destra, casco datato 1989

E sono state scoperte altre isole di plastica nell’oceano Atlantico e Indiano, dall’estensione minore, ma non per questo meno pericolose. E persino nel mar Mediterraneo: ricercatori francesi hanno scoperto un’isola di plastica lunga decine di chilometri tra l’Isola d’Elba e la Corsica. Recenti studi indicano proprio qui le maggiori criticità ambientali.

Mediterraneo di plastica

Non va meglio per il nostro mare. Secondo il RapportoThe Mediterranean: Mare plasticum”, pubblicato dall’International Union for Conservation of Nature and Natural Resources (Iucn), una quantità pari a 229.000 tonnellate di rifiuti plastici confluisce ogni anno nel Mediterraneo (come se ogni giorno 500 container scaricassero in acqua il proprio contenuto) e sono destinate a raddoppiare entro il 2040. Di queste, solo una minima parte, il 6%, è costituito da microplastiche. Il totale della plastica accumulata nel Mar Mediterraneo è stimato nell’ordine di grandezza di 1.178.000 tonnellate.

Perdita di macroplastica da rifiuti mal gestiti nel Mar Mediterraneo, per località
Perdita di macroplastica da rifiuti mal gestiti nel Mar Mediterraneo, per località (IUCN, 2020)

I Paesi che contribuiscono maggiormente all’inquinamento del Mar Mediterraneo – per oltre il 50% – a causa di elevate quantità di rifiuti mal gestiti e/o di grandi popolazioni costiere, sono nell’ordine:

  • Egitto: 74.031 tonnellate/anno
  • Italia: 34.309 t/anno
  • Turchia: 23.966 t/anno

Il deflusso superficiale (Run-off) è stato identificato come un fattore chiave che contribuisce all’elevata densità delle perdite, sebbene non in tutti i casi.

L’insostenibile impotenza del riciclo

Il riciclaggio permette di ridurre l’impronta ambientale della plastica, evitando trattamenti dei rifiuti più dannosi (discarica, incenerimento, dispersione nell’ambiente) e la necessità di nuova materia prima (petrolio e gas). Tuttavia, la plastica secondaria, ovvero la plastica prodotta da riciclo, attualmente rappresenta solo il 6% della materia prima per la nuova plastica prodotta a livello globale. Sebbene più che quadruplicata in due decenni, passando da 6,8 milioni di tonnellate nel 2000 a 29,1 Mt nel 2019.

Delle 353 milioni di tonnellate di rifiuti plastici prodotti nel 2019, solo una minima quota, appena il 9% viene riciclata (33 Mt), il resto finisce nell’aria, nelle terre, fiumi, laghi e infine negli oceani a mari di tutto il mondo. E torna a noi attraverso il cibo e l’acqua di cui ci nutriamo.

Produzione, rifiuti e riciclo della plastica nel mondo al 2019
Produzione, rifiuti e riciclo della plastica nel mondo al 2019 (Global plastics Outlook © OECD 2022)

Il mercato della plastica secondaria (riciclata) è piccolo e vulnerabile. Le difficoltà sono legate, da una parte alla fattibilità economica del riciclaggio a causa della disconnessione tra il prezzo e i costi della produzione secondaria (ad esempio raccolta, cernita e lavorazione) influenzata dall’incertezza del prezzo della materia primaria. Altro ostacolo è la qualità della materia plastica riciclata. L’ampia gamma di polimeri e additivi utilizzati nella produzione della plastica fa sì che i polimeri dei rifiuti di plastica siano spesso mescolati e contaminati.

La pandemia da Covid-19 ha oltretutto aggravato il problema: la domanda globale di plastica è cresciuta in modo significativo. Per almeno due motivi. Da una parte, per il proliferare di dispositivi medici di protezione individuale usa e getta come guanti, salviette e mascherine (i rifiuti, tra mascherine e guanti, ammontano a circa 300mila tonnellate nel solo 2020) e dall’altra per il cambiamento nello stile di vita e shopping, che ha visto dilagare gli acquisti on-line di beni e servizi, come vestiti (fast fashion) e cibi da asporto che utilizzano quantità significative quantità di plastica monouso e imballaggi. Per la gioia di Bezos & co.

La plastica fossile e l’industria petrolchimica

La plastica contribuisce in modo sostanziale ai cambiamenti climatici. Infatti la quasi totalità (93%) della plastica in uso oggi è plastica vergine (primaria) di origine fossile, ricavata dal petrolio greggio o dal gas. A causa dell’elevato consumo di energia durante la raffinazione, la maggior parte delle emissioni di gas serra possono essere attribuite alla fase di produzione (90%). Nel 2019, le emissioni totali di gas serra legate alla plastica di origine fossile durante tutto il suo ciclo di vita sono state pari a 1,8 gigatonnellate di biossido di carbonio equivalente (GtCO2e), ovvero il 3,7% delle emissioni globali.

La plastica secondaria (derivante da riciclo) ha un minore impatto ambientale rispetto alla plastica primaria, ma nel 2019 ha rappresentato solo il 6% dell’uso globale di plastica. Il resto, appena l’1% è rappresentato dalle bioplastiche.

Emissioni di CO2 durante il ciclo di vita della plastica

L’economia circolare potrebbe essere una risposta efficace. La chiusura del ciclo dei rifiuti, puntando a pratiche di riuso e riciclo davvero efficaci, avrebbe un impatto positivo molto significativo. Chi conosce la gerarchia dei rifiuti, sa tuttavia che il solo riciclo della plastica è inefficace (solo il 9% di tutti i rifiuti di plastica prodotti fino al 2015 è stato riciclato e meno dell’1% è stato riciclato più di una volta): è posto al terzo gradino, dietro al riuso/riutilizzo e alla prevenzione. Infatti, se non si riduce la produzione e il fabbisogno di plastica a livello globale, il rischio è di veder vanificare gli sforzi. Impotenza del riciclo.

Un rapporto di Greenpeace USA rivela l’esistenza di strette relazioni commerciali tra multinazionali di beni di consumo e le principali società dei combustibili fossili e del settore petrolchimico che, dietro lo slogan del riciclo quale soluzione all’inquinamento da plastica, favoriscono in realtà l’espansione della produzione di plastica, con impatti negativi sul clima e sulle persone di tutto il mondo. Coca-Cola, PepsiCo, Nestlé, Mondelēz, Danone, Unilever, Colgate Palmolive, Procter & Gamble e Mars acquistano i loro imballaggi da produttori che, a loro volta, si approvvigionano da aziende petrolchimiche come ExxonMobil, Shell, Chevron Phillips, Ineos e Dow.

Secondo recenti stime, il commercio globale della plastica supera l’enorme cifra di 1.000 miliardi di dollari ogni anno, ovvero il 5% del commercio totale di merci. La logica del profitto non può contemplare una minore produzione di plastica e quella monouso ne è la principale frazione. Mentre i grandi marchi collaborano con l’industria dei combustibili fossili per continuare a utilizzare il riciclo come falsa soluzione, le aziende dei combustibili fossili stanno espandendo la loro produzione di plastica in india, nord America, medio oriente, Cina e sudest asiatico.

Usa e getta, consuma e inquina. La piaga dei rifiuti monouso

Al mondo, più della metà della plastica diventa rifiuto in meno di un anno. Nonostante il divieto in Europa di alcuni prodotti monouso (Direttiva SUP), quasi due terzi dei rifiuti di plastica sono generati da prodotti con una durata di vita inferiore a cinque anni: il 40% proviene da imballaggi, il 12% da beni di consumo e l’11% da abbigliamento e tessili. Più del 40% della plastica viene utilizzata una sola volta prima di essere gettata via, dove rimane nell’ambiente per centinaia di anni prima di decomporsi del tutto. E nel frattempo, si decompone, si frammenta in particelle più piccole, anche microscopiche, ed è ingerito o assorbito da tutto l’ecosistema fino agli animali al cibo e l’acqua arrivando agli esseri umani.

Tempo che impiega la plastica a decomporsi nell'ambiente.
Tempo che impiega la plastica a decomporsi nell’ambiente.

La gran parte dei rifiuti in plastica sono relativi a prodotti di breve durata, monouso, usa e getta. Secondo l’ultimo International Coastal Cleanup, la pulizia di tutte le coste del mondo che Ocean Conservancy, l’associazione internazionale per la conservazione degli oceani, porta avanti dal 1986 grazie a milioni di volontari in tutto il Globo, 8 plastiche su 10 rinvenute sono relative all’imballaggio di alimenti e bevande. Nella Top Ten figurano pacchetti di patatine e snack, bottiglie di plastica, tappi di bottiglie, buste e sacchi, bicchieri e piatti. Ma anche filtri di sigarette (fatti di una plastica chiamata acetato di cellulosa), prodotti per la pulizia e cannucce di plastica.

International Ocean CleanUp Day 2022: Top Ten dei rifiuti in plastica rinvenuti sulle spiagge.
International Ocean CleanUp Day 2022: Top Ten dei rifiuti in plastica rinvenuti sulle spiagge.

Produci, consuma, crepa”, cantavano i CCP ormai nel lontano 1986. Presagio di un consumismo già in atto, ma che è cresciuto a dismisura oltre ogni immaginazione. Ormai acquistiamo con un semplice tocco sul cellulare e non importa che quel bene sia davvero necessario, possiamo sempre rispedirlo indietro gratuitamente e senza fatica. Ma, questa frenesia del consumo, ha un prezzo ambientale enorme. Se non si inverte la rotta, che prevede il triplicarsi della produzione di plastica (e di rifiuti) da qui al 2060, con politiche serie di riduzione dell’uso e consumo, non si sta davvero cercando una soluzione.

Trappola per gli animali: soffocamento, ingestione, morte

L’inquinamento da plastica causa danni alla vita marina attraverso diversi meccanismi: intrappolamento, ingestione, soffocamento e rilascio di sostanze chimiche tossiche. Sono 2.150 specie marine che sono venute in contatto con la plastica. Fino al 90% di tutti gli uccelli marini e il 52% di tutte le tartarughe marine ingeriscono plastica.

Animali intrappolati dalla plastica
Animali intrappolati dalla plastica

Ma perché gli animali scambiano la plastica per cibo? Le tartarughe scambiano i sacchetti di plastica per meduse (si stima che metà delle tartarughe abbiano ingerito plastica), di cui vanno ghiotte. Gli uccelli marini che seguono l’olfatto come gli albatri, vengono attirati dall’odore di zolfo che emette la plastica in seguito alla colonizzazione di alghe e batteri. L’odore della plastica inganna anche i pesci, ingolositi da quel “sapore di mare” che le microplastiche col tempo assumono.

Lo stomaco pieno di plastica di un pulcino di albatro morto fotografato nel rifugio nazionale dell'atollo di Midway nel Pacifico nel settembre 2009
Lo stomaco di un pulcino di albatro morto fotografato nel rifugio nazionale dell’atollo di Midway nel Pacifico nel settembre 2009 contiene numerosi pezzi di plastica (tappi, frammenti vari e persino un accendino intero).

Nelle Filippine è stata rinvenuta una balena morta per aver mangiato 40 kg di plastica, una quantità mai vista prima. Il biologo marino Darrell Blatchley, che ha eseguito l’autopsia sul giovane mammifero, è rimasto esterrefatto: “Sapevo che questa balena era morta a causa dell’ingestione di plastica“, ha detto al Washington Post, sottolineando che l’animale mostrava segni rivelatori di disidratazione ed emaciazione. Ma aggiunge che non era “preparato alla quantità di plastica”.

Balena morta per aver ingerito 40 kg di plastica, Filippine, 2019
Balena morta per aver ingerito 40 kg di plastica, Filippine, 2019

La plastica è entrata non solo nella catena alimentare marina, ma sta impattando significativamente la produttività degli ecosistemi marini più importanti al mondo, come le barriere coralline e le foreste di mangrovie. È stato stimato che entro il 2050 negli oceani ci saranno più rifiuti di plastica che pesci.

Plastica: dall’ambiente all’uomo

Le conseguenze dell’eccesso di plastica nell’ambiente, l’invasione degli oceani, dei suoli e persino dell’aria, come abbiamo visto non ha limiti di espansione: dal sud al nord del mondo, dall’Artide all’Antartide, dalle città alle campagne, dalle cime innevate ai mari. Gli animali le ingeriscono, le acque e le terre le assorbono e noi attraverso il cibo, l’acqua e l’aria ne ingeriamo a migliaia: ci stiamo avvelenando senza rendercene conto.

Diversi studi hanno riscontrato plastiche negli alimenti che consumiamo quotidianamente (ingeriamo circa 5 grammi di plastica a settimana, come una carta di credito). La principale fonte di ingestione di microplastica è l’acqua potabile, sia in bottiglia che in rubinetto. Tra gli alimenti più contaminati da microplastiche rientrano invece birra, sale e molluschi. Ma anche miele e pesce.

Esposizione umana a plastica e microplastiche

Se ciò non bastasse, occorre sottolineare la presenza di migliaia di additivi chimici (delle oltre 16.000, almeno 4.200 sono “persistenti, bioaccumulabili, mobili e/o tossici”) che vengono aggiunti alla plastica per migliorarne le caratteristiche. Alcuni, estremamente pericolosi anche per la salute umana, possono essere rilasciati direttamente nell’ambiente o, se ingeriti, finire nei tessuti degli organismi. Di conseguenza i minuscoli detriti possono essere vettori di ulteriore inquinamento, con importanti conseguenze sullo stato di salute degli esseri viventi. Alcune sostanze chimiche – ftalati, bisfenolo A, ritardanti di fiamma e sostanze perfluorurate o PFAS – possono ridurre la fertilità maschile, danneggiare il sistema nervoso e aumentare il rischio di cancro.

Soluzioni e prospettive sostenibili

L’inquinamento, il degrado della biodiversità e l’instabilità climatica sono le crisi planetarie più urgenti del nostro tempo. La rapida crescita della produzione di plastica, effetto di un consumo indiscriminato, è una grave minaccia per il Pianeta e, senza interventi drastici, è destinata rapidamente a peggiorare. La sfida è grande, ma la maggior parte delle soluzioni per ridurre il flusso di plastica nell’oceano esistono già: attività come le Convenzioni regionali sui mari, i divieti nazionali sui prodotti di plastica monouso, gli impegni di imprese e governi per ridurre, riprogettare e riutilizzare i prodotti di plastica, aumentare il contenuto di plastica riciclata nei nuovi prodotti.

Non esiste un’unica soluzione, ma siamo tutti coinvolti. Da consumatori potremmo ridurre l’uso della plastica non necessaria, e dove possibile riciclare. Il mercato si adatterà. Ad esempio è sufficiente bere l’acqua del rubinetto (generalmente oligominerale e di ottima qualità perché all’85% proviene da falde sotterranee) anziché l’acqua minerale in bottiglia, magari attrezzandosi con una borraccia da portare con sé, per evitare un impatto ambientale di 17 kg di rifiuti di plastica a persona l’anno. Tonnellate di rifiuti che potremmo evitare con pochi, semplici, accorgimenti.

Breaking the Plastic Wave”, un’analisi globale su come cambiare la traiettoria dei rifiuti di plastica, rivela che possiamo ridurre la quantità di plastica che entra nell’oceano di circa l’80% nei prossimi due decenni se utilizziamo le tecnologie e le soluzioni esistenti.

Migliorare i sistemi di gestione dei rifiuti garantendo le infrastrutture idonee a ricevere i rifiuti di plastica e garantire che un’elevata percentuale possa essere riutilizzata o riciclata. Migliorare la circolarità promuovendo pratiche di consumo e produzione più sostenibili lungo l’intera catena del valore della plastica. Coinvolgere i consumatori nella lotta all’inquinamento causato dalla plastica per influenzare il mercato e ispirare un cambiamento comportamentale. “Chiudi il rubinetto eliminando gradualmente gli oggetti in plastica non necessari, evitabili e più problematici e sostituendoli con materiali, prodotti e servizi alternativi.”

Secondo Ellen MacArthur Foundation, entro il 2040 un’economia circolare ha il potenziale per:

  • ridurre dell’80% il volume annuale di plastica che entra nei nostri oceani
  • ridurre le emissioni di gas serra del 25%
  • generare un risparmio di 200 miliardi di dollari all’anno
  • creare 700.000 posti di lavoro aggiuntivi netti

Anche per quanto concerne le microplastiche, le soluzioni dovrebbero puntare a ridurle alla fonte, perché più conveniente e fattibile della raccolta di quelle già disperse nell’ambiente. Si parla quindi non di quelle secondarie derivanti dalla degradazione della plastica più grossa, ma di quelle primarie ovvero prodotte direttamente sottoforma di particelle. E, considerando le maggiori fonti di microplastiche primarie, questo approccio potrebbe essere realizzato attraverso innovazioni nella progettazione di pneumatici e tessuti, nei trasporti per ridurre la distanza totale percorsa dalle auto, misure normative e aziendali per prevenire la fuoriuscita di pellet e divieti sull’uso di ingredienti microplastici nei prodotti per la cura personale.

Cavalluccio marino e plastica: cotton fioc e mascherina Covid.
Cavalluccio marino e plastica: cotton fioc e mascherina Covid.

Per estirpare la plastica già presente in ambiente esistono tecnologie e ricerche in via di sperimentazione. Come The Oceans Cleanup che da oltre dieci anni, estrae e monitora l’inquinamento da plastica negli oceani e nei fiumi di tutto il mondo, rimuovendo fino ad oggi milioni di chilogrammi.

Ma intanto, per andare avanti, si torna indietro. Le politiche europee e nostrane sembrano allontanarsi dagli obiettivi sui cambiamenti climatici e le zero emissioni al 2050: il Green Deal trema. Per contrastare i cambiamenti climatici e promuovere le energie rinnovabili, si finanziano guerre ed energie fossili (l’Italia, seconda al mondo dopo gli USA, nei primi 6 mesi del 2023 ha speso 1,2 miliardi). E, sull’onda della coerenza, notizia di pochi giorni fa, il ministro dell’Agricoltura Lollobrigida ha inserito un emendamento che vuole bloccare l’agrivoltaico, ovvero l’istallazione dei pannelli fotovoltaici sui terreni. Speriamo che il decreto venga prontamente aggiustato. E che la transizione energetica, quella vera, torni finalmente di moda.

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