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Anche se coprono solo il 6% circa della superficie terrestre, il 40% di tutte le specie animali e vegetali vive o si riproduce in esse; hanno un ruolo fondamentale per il Pianeta, e fanno parte di quella catena naturale importante per la sopravvivenza umana. Fonte di acqua dolce e di cibo, funzionano anche da spugne per assorbimento del carbonio e si tratta di aree fondamentali per la biodiversità. Sono le zone umide, esposte sempre più ai cambiamenti climatici. Oggi, due febbraio, si celebra la World Wetlands Day, WWD, giornata mondiale di paludi, acquitrini, torbiere e specchi d’acqua. Il tema centrale di quest’anno è Wetland Restoration e l’obiettivo è riconoscerne il valore, proteggerle, ripristinare quelle degradate e amarle per le loro incredibili caratteristiche e l’importanza per il clima e la nostra stessa sopravvivenza: basti pensare che più di un miliardo di persone nel mondo dipendono da esse per il proprio sostentamento. Le zone umide stanno scomparendo tre volte più velocemente delle foreste, dal 1970 ad oggi se ne è perso oltre il 35%, e il ritmo sta accelerando. Per la salvaguardia del Pianeta è fondamentale invertire questa tendenza, attraverso scelte consapevoli che devono coinvolgere i Governi, le comunità locali e i cittadini. L’innalzamento del livello del mare causato dalla crisi climatica, entro la fine del secolo, a seconda della sua gravità, potrebbe causare la perdita di una percentuale tra il 20 e il90% delle attuali zone umide costiere, che sequestrano il carbonio fino a 55 volte più velocemente delle foreste pluviali tropicali. Indice degli argomenti La convenzione di RamsarLe zone nel mondoIn ItaliaLa crisi degli ecosistemiLe azioni per salvarle‘Senza loro non si raggiungono obiettivi Onu’ La convenzione di Ramsar Quest’anno è la ricorrenza del 52esimo anniversario della Convenzione di Ramsar, firmata il 2 febbraio 1971, cioè la prima formula che contempla un impegno mondiale per proteggere questi ecosistemi; ad oggi è stata sottoscritta da 172 Paesi e riconosce 2.200 siti Ramsar in tutto il mondo, che coprono una superficie di oltre 220 milioni di ettari. Dal 2021 la Giornata mondiale delle Zone Umide è stata ufficialmente riconosciuta dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Nel 2015, nell’ambito dell’obiettivo 6 dello sviluppo sostenibile, tutti i paesi si sono impegnati a proteggerle e ripristinarle entro il 2030. La definizione in modo chiaro delle zone umide è uno dei meriti della Convenzione di Ramsar: aree terrestri sature o inondate d’acqua in modo permanente o stagionale; quelle interne includono paludi, stagni, laghi e pianure alluvionali; quelle costiere, paludi di acqua salata, estuari, mangrovie, lagune e persino barriere coralline. Stagni, risaie e saline sono zone umide create dall’uomo. E l’acqua è naturalmente un elemento centrale, considerando che da questi ecosistemi deriva il 70% di tutta l’acqua dolce utilizzata per l’irrigazione. Sottoscritto da 172 Paesi, il Trattato individua attualmente 2mila zone umide a livello globale, per le quali sostiene i principi dello sviluppo sostenibile e della conservazione delle biodiversità. Le zone nel mondo Rifugio per oltre 100 mila specie d’acqua dolce conosciute, le zone umide sono i più efficaci serbatoi di carbonio del Pianeta; le sole torbiere, che coprono il 3% della superficie terrestre, assorbono il 30% del carbonio organico dei suoli, il doppio delle foreste. Le zone umide occupano infatti più di 12,1 milioni di chilometri quadrati, hanno un ruolo significativo nel contrasto agli effetti dei cambiamenti climatici: barriere naturali contro gli eventi estremi di origine marina, come le praterie di posidonia; capaci di immagazzinare le piogge in eccesso e mitigare gli impatti delle inondazioni, come le pianure alluvionali; o ancora, in grado di preservare endemismi e peculiarità dei paesaggi montani, come le sorgenti e i laghi d’alta quota; svolgono anche un’azione di depurazione delle acque e ospitano migliaia di specie. “Senza di loro, gli obiettivi dell’agenda globale sullo sviluppo sostenibile non saranno mai raggiunti. Le zone umide infatti regolano anche gli effetti che influenzano il clima e i regimi idrologici, riducendo in tal modo l’inquinamento e i rischi di catastrofi naturali. Per esempio, le mangrovie costiere aiutano a prevenire l’erosione del suolo e offrono protezione dagli tsunami e dai cicloni. Le torbiere invece sono importanti pozzi di assorbimento della CO2 e possono sequestrare milioni di tonnellate di carbonio ogni anno. Abbiamo bisogno di un’azione collettiva urgente per invertire le tendenze sulla perdita e il degrado delle zone umide e allo stesso tempo assicurare sia il loro futuro che la nostra stessa sopravvivenza. In Italia L’Italia annovera 57 zone Ramsar, distribuite in 15 regioni. In totale parliamo di circa ottantamila ettari. Si va dai 12 ettari dello Stagno Pantano Leone in Sicilia fino agli 11.135 ettari dell’area Massaciuccoli – Migliarino – San Rossore in Toscana. Le Regioni in cui le aree Ramsar sono più numerose ed estese sono l’Emilia-Romagna con 10 aree, (23.112 ettari), la Toscana con 11 aree (20.756 ettari) e la Sardegna con 8 aree per una superficie di 12.572 ettari. Ispra ha coordinato il progetto europeo Life Lagoon Refresh, avviato nel 2017 e che si è concluso lo scorso luglio, che ha ricreato nella laguna di Venezia zone a bassa salinità aiutando, grazie e l’immissione di acqua dolce dal Sile, la ri-colonizzazione di circa 20 ettari di canneto e il ripopolamento di numerose specie ittiche e di uccelli. Oggi, grazie agli interventi attuati, i livelli di salinità sono scesi a valori inferiori a 15 in un’area di 25 ha, e fauna e vegetazione si stanno trasformando, con il ritorno di specie tipiche di questo habitat. Un progetto molto importante è quello di rinaturazione del Po, proposto da WWF e ANEPLA per il recupero di molte zone umide perifluviali, che prevede un finanziamento di 357 milioni di euro dal Ministero dell’Ambiente nell’ambito del PNRR e coinvolge diverse regioni. Il Sistema delle Oasi WWF Italia è formato da 100 Oasi, in 78 di queste si trovano stagni, paludi, lagune, che sono state difese da abusi e antropizzazione selvaggia, e 10 sono riconosciute dalla Convenzione di Ramsar. Tali Oasi ospitano il 66% degli habitat prioritari della direttiva 43/92/CEE per la bioregione “alpina”, il 57% per quella “continentale” e il 65% per quella “mediterranea”. Fino al 5 febbraio il WWF propone in tutta Italia una serie di appuntamenti per scoprire le più belle Oasi. In occasione del World Wetlands Day, anche Legambiente, fino al 5 febbraio, organizza in collaborazione con le comunità locali diversi incontri, convegni ed escursioni che permetteranno di conoscere la bellezza e unicità di questi luoghi. La crisi degli ecosistemi Questi ecosistemi sono esposti a elevati rischi, le zone umide infatti subiscono più di altri ambienti gli effetti dell’effetto serra, stanno scomparendo tre volte più velocemente delle foreste e sono l’ecosistema più minacciato del pianeta. Soltanto nell’ultimo secolo, la Terra ha dovuto dire addio al 64% delle sue zone umide. In Europa tale percentuale sale al 90%: secondo la Commissione europea, fra il 1950 e il 1985 si sono registrate le perdite maggiori in Francia (67%), Italia (66%), Grecia (63%), Germania (57%) e Olanda (55%). Le attività antropiche che hanno maggiormente influenzato questa crisi includono l’agricoltura, l’edilizia, l’inquinamento, la pesca eccessiva e il sovrasfruttamento delle risorse; oltre a specie invasive che turbano l’equilibrio e, naturalmente, il cambiamento climatico. Perdita zone umide in Europa. Fonte WWF I dati del SOER Freshwater 2020 parlano di come in Europa soltanto il 40% dei corpi idrici superficiali sia in un buono stato ecologico e che le zone umide sono ampiamente degradate; in declino per estensione e qualità a causa di agricoltura intensiva, abbandono delle tradizionali attività agro-pastorali, alterazione degli equilibri idrici, inquinamento (dovuto anche all’uso di prodotti fitosanitari), invasione di specie aliene, urbanizzazione e sviluppo d’infrastrutture. E’ fallito a livello globale l’obiettivo dell’Agenda 2030 sullo sviluppo sostenibile che prevedeva la protezione e il restauro degli ecosistemi acquatici entro il 2020. Secondo le liste rosse dell’Iucn oggi nel mondo un terzo delle specie legate agli ecosistemi acquatici risulta minacciato, mentre sono a rischio scomparsa oltre i tre quarti delle paludi e delle torbiere e quasi la metà dei laghi, dei fiumi e delle coste. Inoltre in pericolo c’è anche il mantenimento e il miglioramento dei servizi ecosistemici che ruotano intorno alle zone umide. Secondo Legambiente “al netto delle difficoltà il 2020 ha segnato un momento decisivo per misurare gli impegni dell’Unione europea, a partire dalla Strategia dell’europa sulla biodiversità per il 2030, e sottolinea l’importanza di mantenere ecosistemi sani e funzionali a garantire l’equilibrio climatico: ogni piano in tal senso deve includere un uso sostenibile e responsabile delle zone umide e degli ecosistemi acquatici”. La Giornata mondiale delle zone umide per Legambiente rappresenta anche uno strumento di mobilitazione per l’obiettivo della campagna “30% di territorio protetto entro il 2030”. L’Associazione Nazionale dei Consorzi per la Gestione e la Tutela del Territorio e delle Acque Irrigue (Anbi) mette in evidenza la necessità di un intervenire per “implementare” il patrimonio ecosistemico: e lo si potrebbe fare “grazie anche al Piano nazionale invasi, con 218 progetti pronti nella maggior parte già cantierabili. L’importo necessario è di circa 3 miliardi di euro”, soprattutto per “bacini medio piccoli che oltre a trattenere le acque di pioggia, abbinando le funzioni di prevenzione idrogeologica e riserva idrica, arricchirebbero il territorio di nuovi ecosistemi fruibili dalle comunità locali. Il maggior numero di proposte (73) interessa il Veneto, ma è la Calabria, la regione, che ha bisogno di maggiori investimenti (527 milioni)”. Le azioni per salvarle Per la loro salvaguardia nel decennio 2020-2030 serve un insieme di azione politica e ricerca scientifica. Come primo punto è necessario identificare le cause del degrado, ed eliminarle; bisogna poi ripulire le aree degradate e ripristinare la vegetazione e la fauna autoctone, limitando l’accesso al sito e realizzando nuove aree protette. E’ importante secondo Legambiente far crescere le piccole zone umide adottate dai cittadini anche negli ambienti urbani e aumentare il numero di quelle riconosciute dalla Convenzione di Ramsar per raggiungere l’obiettivo del 30% di territorio nazionale protetto; rafforzare la tutela della biodiversità acquatica e migliorare la sinergia tra norme nazionali e Direttive comunitarie (Habitat, Uccelli, Acque e Alluvioni); migliorare l’integrazione e la gestione unitaria delle aree protette, i siti della Rete natura 2000 e le Zone Umide riconosciute dalla Convenzione di Ramsar e realizzare una rete di enti gestori di questi ecosistemi; ripristinare gli ecosistemi degradati e realizzare infrastrutture fluviali sostenibili per contribuire a ripristinare almeno 25mila km di fiumi a scorrimento libero in Europa. ‘Senza loro non si raggiungono obiettivi Onu’ Musonda Mumba, Segretario generale della Convenzione sulle zone umide, invitando tutti a partecipare alle celebrazioni della Giornata mondiale delle zone umide sottolinea che “ci sono solo sette anni a disposizione fino al 2030 per raggiungere gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, il tempo è sicuramente essenziale. Il Decennio delle Nazioni Unite per il ripristino degli ecosistemi è una grande opportunità per tutti noi di ripensare e cambiare il modo in cui l’uomo impatta sull’ambiente – e un’occasione per ripristinare ecosistemi vitali come le zone umide. Attraverso l’attivazione di tutti i soggetti interessati, dal pubblico in generale ai principali stakeholder, stiamo mobilitando un’intera generazione per il ripristino delle zone umide”. Le prime azioni che Governi e comunità devono mettere in campo? Mappare in maniera precisa a livello nazionale le zone umide Definire obiettivi specifici per il loro ripristino Promuovere buone pratiche di gestione Influenzare il cambiamento e condividere le buone pratiche di conservazione e ripristino. Amy Fraenkel, Segretario esecutivo della Convenzione sulla conservazione delle specie migratorie della fauna selvatica (CMS), spiegando che è necessario intensificare gli sforzi per proteggere e ripristinare le zone umide in tutto il mondo, a beneficio sia delle persone che della natura, comprese le specie migratorie di animali selvatici, ha parlato di casi di successo: “il progetto di ripristino costiero di Abu Dhabi, è stato recentemente riconosciuto dal UN Decade on Ecosystem Restoration come uno dei 10 progetti più importanti di ripristino delle zone umide. Si tratta di uno sforzo ambizioso per ripristinare le aree di corallo, mangrovie e fanerogame lungo la costa di Abu Dhabi, a beneficio diretto dei dugonghi e di altre specie migratorie come le tartarughe marine e gli uccelli marini”. Articolo aggiornato Consiglia questo approfondimento ai tuoi amici Commenta questo approfondimento
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