Bioenergie in Europa: si punti su biomasse solide e gestione sostenibile delle foreste

In Europa le associazioni della filiera delle bioenergie sono preoccupate per gli sviluppi della RED III. Il presidente dell’associazione EBS Energia da Biomasse Solide illustra i punti critici e i prossimi passi

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Bioenergie in Europa: si punti su biomasse solide e gestione sostenibile delle foreste

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Puntare su biomasse e bioenergie in Europa per ridurre il caro energia e per accelerare la transizione energetica è un’idea che può conoscere una battuta d’arresto significativa. Già il Parlamento Europeo a settembre ha votato in materia di Efficienza Energetica e di Energie Rinnovabili, nello specifico le due direttive EED e RED III, mettendo in allarme il settore. Gli eurodeputati, infatti, hanno dato l’ok a un pacchetto di emendamenti di compromesso che prevede un minore utilizzo di biomassa legnosa primaria. Si tratta di legno prelevato direttamente da boschi e foreste per la produzione energetica. Hanno stabilito anche un tetto complessivo di partenza rispetto alla biomassa totale utilizzata, pari alla media percentuale di utilizzo nel periodo 2017-2022.

La filiera delle bioenergie, sotto forma di associazioni della foresta-legno-energia e della filiera della componentistica della cogenerazione ha già scritto al Ministro dell’ambiente e della sicurezza energetica per chiedere che il Governo italiano assuma una posizione contraria alla definizione di biomassa legnosa primaria in vista del trilogo europeo, tenutosi a Bruxelles a fine novembre, in cui si è discusso della direttiva RED III.

Ma quali sono i timori espressi dalla filiera delle bioenergie in Europa? Perché invece l’UE ventila l’intenzione di porre limitazioni su queste fonti energetiche che costituiscono il 57% delle energie rinnovabili consumate in Europa?

Antonio Di Cosimo, presidente di EBS, l’associazione Energia da Biomasse SolideLo abbiamo chiesto ad Antonio Di Cosimo, presidente di EBS, l’associazione Energia da Biomasse Solide, costituita dai principali produttori di energia elettrica da biomasse solide.

Esse hanno un peso specifico sostanziale nelle bioenergie: se queste ultime rappresentano il 16% della produzione rinnovabile elettrica nazionale, le biomasse solide pesano per il 40%.

Quali sono i punti critici della direttiva RED III che possono ostacolare le bioenergie in Europa e nello specifico le biomasse solide?

L’orientamento europeo sulla definizione attuale della RED III introduce l’impossibilità di utilizzare la biomassa proveniente dalla corretta manutenzione e pulizia dei boschi per la produzione di energia termica ed elettrica. La Direttiva inserisce tutto questo materiale nella biomassa primaria, in antitesi con il principio dell’utilizzo a cascata, ostacolando l’uso energetico di tutti i residui forestali privi di altro uso commerciale perché di bassa qualità. La definizione di biomassa legnosa primaria non rappresenta dunque un parametro adeguato a determinare la sostenibilità della biomassa legnosa. Non solo: in questo modo si rallenta lo sviluppo circolare dell’economia del legno e la messa in atto nel nostro Paese della Strategia Forestale Nazionale di recente emanazione. Per questo motivo abbiamo rivolto un appello il mese scorso al ministro Pichetto Fratin insieme alle altre associazioni che rappresentano il settore delle bioenergie, affinché il governo italiano intervenga sulla questione in sede europea.

Quali sono i punti critici della direttiva RED III che possono ostacolare le bioenergie in Europa e nello specifico le biomasse solide?

La RED III inoltre contempla l’impossibilità di sostenere impianti power-only non cogenerativi, ma EBS sottolinea come la sopravvivenza del settore sia legata, per le sue specificità, alla possibilità di garantire meccanismi di sostegno anche agli impianti di sola generazione elettrica perché esistono situazioni in cui la cogenerazione non è implementabile per motivi logistici o tecnici.

Un’altra incognita è il price cap posto a 180 euro al MWh che fa parte di una proposta di regolamento della Commissione europea per tutte le rinnovabili. È evidente che un impianto a biomasse che deve alimentare la filiera di approvvigionamento del combustibile non ha gli stessi costi di un impianto eolico o solare. Nel fissare un tetto al prezzo è opportuno considerare i costi e la specificità della fonte rinnovabile, altrimenti con ogni evidenza non è sostenibile.

Il Governo italiano ha dato prova di recepire il vostro parere?

Rispetto al price cap, alcuni giorni fa, nell’esame del Ddl di Bilancio 2023 la Commissione Agricoltura alla Camera ha riportato alla Commissione Bilancio la necessità di valutare l’esclusione dell’energia prodotta da impianti alimentati da combustibili a biomassa dal tetto ai ricavi (articolo 9). Questo in ragione del fatto che tali impianti sostengono costi di approvvigionamento sottoposti a forte variabilità che includono anche il valore di mercato dell’energia elettrica. Ci auguriamo che si tenga conto di tale osservazione nell’approvazione del provvedimento.

Per il resto, abbiamo iniziato da circa due anni un percorso di accreditamento e sensibilizzazione delle istanze del nostro settore verso le istituzioni italiane, sia in modo indipendente, come Associazione EBS, sia congiuntamente agli altri rappresentanti delle bioenergie, con l’obiettivo di valorizzare e tutelare le specificità del nostro settore che è costituito da una filiera di decine di migliaia di lavoratori e più di 2mila aziende. Un settore che, oltre a contribuire all’indipendenza energetica dell’Italia e alla cura e alla gestione sostenibile di boschi e aree agroforestali, porta benefici economici e sociali grazie al costo sostenuto dalle aziende che ritirano i materiali residuali utilizzati come combustibile nelle centrali.

Siamo l’unica rinnovabile che deve pagare il carburante per poter funzionare trasferendo quegli incentivi sulla filiera, eppure ancora oggi viviamo un clima di incertezza normativa che perdura da diversi anni e ciò impedisce investimenti.

Quali saranno i prossimi passi e interventi da parte vostra e del comparto bioenergie in Europa, a livello istituzionale nazionale ed europeo, per cercare di affrontare la questione con gli organismi preposti, italiani ed europei?

Oltre a sollecitare i decisori sulla corretta definizione della biomassa a livello europeo, la nostra richiesta al governo si concentrerà sul rinnovo dei sostegni al settore, senza i quali verranno chiusi tutti nostri impianti, già dal 2023, e di conseguenza distrutte intere filiere agroenergetiche italiane.

In un momento tra l’altro in cui dovrebbe essere premiata proprio la produzione di energia da fonti rinnovabili e da materie prime nazionali che contraddistingue in larghissima parte le aziende associate a EBS.

Quali aspetti dovrebbe correggere o implementare per fornire uno stimolo alla diffusione delle biomasse solide?

Prima di tutto è necessario risolvere l’incertezza normativa che impedisce al nostro settore nuovi investimenti in tecnologia, dunque non solo frena qualunque tipo di sviluppo verso la transizione ecologica, ma mette a rischio il funzionamento delle centrali con ricadute sull’intero sistema elettrico.

Ricordiamo che quella da biomasse solide è l’unica fonte rinnovabile in grado di garantire stabilità alla rete elettrica nazionale per la sua programmabilità e continuità (8 mila ore/anno).

Nel panorama attuale, la maggioranza degli impianti del parco esistente, fortemente rappresentati da EBS, vanno incontro a una progressiva uscita dall’attuale sistema incentivante tra il 2023 e il 2028. Il decreto FER2 è una occasione cruciale per il sostegno al settore grazie all’introduzione di una tariffa per la prosecuzione in esercizio degli impianti a biomassa con incentivi in scadenza entro il 2026. Sarebbe opportuno che tale decreto costituisse un riferimento per un provvedimento analogo riguardo gli impianti con scadenza incentivo negli anni immediatamente successivi (tendenzialmente 2027 e 2028). In mancanza di un’azione in tal senso tutti questi impianti chiuderanno.

Quale potenziale può esprimere l’Italia in materia di biomasse solide?

Le biomasse solide oggi rappresentano nel complesso circa il 17% della produzione di energia da fonti rinnovabili nel nostro Paese con circa 4.420 GWh di produzione energetica (fonte: GSE 2020).

Un contributo che potrebbe raddoppiare nei prossimi 3-5 anni se il settore fosse adeguatamente sostenuto e messo nelle condizioni di continuare a svolgere il proprio importante ruolo nel panorama energetico italiano.

L’Italia ha una copertura forestale tra le più importanti a livello europeo eppure è poco valorizzata. 

Quali sono gli interventi che servirebbero per cambiare la situazione e permettere una gestione forestale sostenibile?

È fondamentale governare il patrimonio boschivo che in Italia è in crescita. Le imprese boschive, in collaborazione con le centrali a biomasse, se inserite adeguatamente in un programma di collaborazione per la progettazione, cura, difesa e programmazione della gestione del bosco, in concerto con gli enti pubblici preposti, apporterebbero un contributo notevole per la prevenzione e salvaguardia di queste aree verdi.

Cosa fare per una gestione forestale sostenibile in Italia

Le amministrazioni pubbliche preposte alla tutela del patrimonio boschivo, verificata la necessità di interventi di messa in sicurezza di tali aree, potrebbero per esempio stipulare con le imprese del settore dei contratti di permuta con conguaglio economico a favore di un contraente o dell’altro, a seconda che il valore dei lavori eseguiti sia minore o maggiore del valore di mercato della biomassa ottenibile. L’affidamento della messa in sicurezza e della coltivazione dei boschi da parte degli enti pubblici alle imprese forestali limiterebbe i costi di gestione e lavorazione, in cambio del materiale legnoso prodotto dalla gestione di queste operazioni. Naturalmente per evitare speculazione nel settore è fondamentale che si preveda il riutilizzo esclusivo nelle centrali a biomassa. Il contributo di queste ultime risulterebbe fondamentale in quanto hanno una capacità di approvvigionamento pressoché illimitata e costante nel tempo, quindi possono garantire alle imprese boschive una programmazione e degli investimenti a lunga scadenza.

Cosa richiede la tutela dei boschi e del patrimonio forestale?

Così come qualsiasi altro terreno agricolo produttivo, il bosco necessita di lavorazioni, manutenzioni e trattamenti specifici che ne garantiscano la sicurezza, l’integrità e l’ottimo stato di salute. La prevenzione, la valorizzazione e l’incentivazione sono gli strumenti urgenti e fondamentali che andrebbero adottati da una adeguata e consapevole strategia forestale. Infine non dimentichiamo che una scorretta manutenzione del patrimonio forestale può provocare non solo incendi ma anche dissesto idrogeologico e situazioni d’emergenza altrettanto pericolose con il rischio di allagamenti e frane.

Senza le centrali a biomasse solide, gran parte delle aziende agricole brucerebbe il materiale residuale nei campi, come spesso continua ad accadere, con emissioni di polveri e altri inquinanti che nei nostri impianti vengono contenuti grazie alle tecnologie di abbattimento e di monitoraggio di cui sono dotati. La combustione di biomasse in campo e per riscaldamento costituisce circa il 50% di tutte le polveri sottili presenti in ambiente.

C’è chi pensa che “sfruttare” le foreste equivalga a “deforestare”. Cosa significa, invece, attuare una gestione forestale sostenibile?

Significa trasformare materiale di scarto, non più riutilizzabile, in una risorsa per produrre energia rinnovabile secondo il modello virtuoso dell’economia circolare. Le centrali degli operatori industriali associati a EBS utilizzano solo materiale residuale, per il 90% di provenienza nazionale. Si tratta di sottoprodotti, non di risorse di pregio o legno nobile. Diversi dati, tra cui quelli del Crea (Ente di ricerca vigilato dall’ex Ministero delle politiche agricole, alimentari, forestali), mostrano che in Italia la superficie boschiva è in aumento. Più boschi significa più materiale da rimuovere per le manutenzioni anche per proteggerli dagli incendi. Questi materiali costituiscono la metà delle biomasse utilizzate nelle centrali EBS (l’altra metà è costituita dai residui delle lavorazioni agricole e agroindustriali) e se non venissero smaltiti e utilizzati per produrre energia andrebbero in qualche modo gestiti da enti e istituzioni territoriali. La filiera è costantemente sottoposta ai controlli da parte del MASAF, effettuati su tutte le aziende associate. Ognuna è tenuta a fornire la documentazione completa di tracciabilità, nel rispetto della normativa che regolamenta sia i terreni di provenienza sia i tagli. Gli incentivi infatti sono nazionali e vengono erogati all’energia elettrica prodotta da impianti di taglia medio-grande (potenza >1MW), premiando maggiormente l’utilizzo di biomassa proveniente da un raggio di 70 chilometri dalla centrale, oppure entro una filiera nazionale disciplinata dal MASAF e regolata con contratti quadro volontari approvati dallo stesso Ministero.

Uno dei filoni più innovativi per la produzione di idrogeno verde è collegato alle biomasse. Qual è la posizione in proposito di EBS e del comparto?

Anche in vista della prospettiva di sviluppo dell’idrogeno verde è necessario mantenere attivi i nostri impianti, perché se è vero che ad oggi le tecnologie non sono ancora mature, sono però oggetto di studio metodi per impiegare impianti a biomasse solide nel ciclo dell’idrogeno verde contribuendo alla produzione dello stesso con un impatto ambientale pressoché nullo. Ovviamente i nostri impianti potranno concorrere allo sviluppo di tale tecnologia esclusivamente se resteranno operativi sino a quel momento trovandosi così pronti ad affrontare la nuova sfida grazie anche alla filiera collegata.

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