Fotovoltaico con perovskite: dove punta la ricerca, grazie anche all’Italia

Il fotovoltaico con perovskite ha potenzialità notevoli. La ricerca lavora per migliorarne gli aspetti utili. Tra questi il team italiano diretto da Giulia Grancini che sta ottenendo notevoli risultati

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Fotovoltaico con perovskite: dove punta la ricerca, grazie anche all’Italia
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Il fotovoltaico con perovskite è l’elemento tecnologico su cui molti scommettono per lo sviluppo ancora più diffuso dell’energia solare. Ci credono gli Stati Uniti, attraverso il loro Dipartimento dell’Energia che ha annunciato lo stanziamento di 128 milioni di dollari in finanziamenti di ricerca su soluzioni in grado di abbassare il prezzo dell’energia solare del 60% entro il 2030. Circa la metà di questo finanziamento (63 milioni) sosterrà l’avanzamento di due materiali usati per fare celle solari, uno dei quali sono proprio le perovskiti.

Perché puntino su di esse lo spiega lo stesso DOE: sono una famiglia di materiali solari emergenti che hanno il potenziale per fare celle solari a film sottile altamente efficienti con costi di produzione molto bassi.

I settori più interessati allo sviluppo applicativo di fotovoltaico con perovskite sono molteplici. Gli edifici, innanzitutto: il fotovoltaico in edilizia sappiamo quale potenzialità apra. I Building Integrated Photovoltaics hanno opportunità di mercato di grande interesse. Ma poi ci sono altri campi applicativi di enorme valore: i dispositivi Internet of Things, per esempio, oppure i sistemi di generazione energetica flessibili, leggeri, economici.

Sulle perovskiti la ricerca lavora attivamente, anche in Italia. A Pavia c’è un team dedicato, PVSquared, all’interno dell’Università degli Studi cittadina. Un gruppo di 15 ricercatori che comprende ingegneri chimici, fisici, scienziati dei materiali, provenienti da diverse parti del mondo. Inoltre conta anche su una post-doc a Cambridge. Il gruppo si è costituito due anni fa, comprende dottorandi con età variabile dai 26 ai 36 anni. A dirigerlo è Giulia Grancini, under 40 dal curriculum notevole, arricchito dalla nomina di Cavaliere dell’Ordine “Al merito della Repubblica italiana” nel 2021. A lei il merito di aver costituito PVSquared quale vincitrice di un grant ERC (European Research Council) da 1,5 milioni di euro per il progetto “Hy-NANO”.

Giulia Grancini e il team PVSquared
Giulia Grancini e il team PVSquared

Il grant ERC è molto ambito, ma assai complesso da conseguire: il rate di successo è molto basso, sono progetti molto prestigiosi.

I progetti sono finanziati sulla base delle idee progettuali presentate dai singoli ricercatori, in qualsiasi campo della scienza, in campo trasversale, e valutati sulla base del solo criterio dell’eccellenza scientifica. L’Unione Europea ha messo a budget complessivamente 16 miliardi di euro, che fa capire quanto interesse ci sia a finanziare progetti di ricerca come quelli condotti da Grancini e dal suo team.

La stessa UE segue con interesse gli sviluppi della ricerca sulle perovskiti in quanto offrono potenzialità straordinarie, fin dalle prestazioni prospettate in primis dall’efficienza di conversione. I record in laboratorio hanno superato il 25% decisamente superiore al silicio. In quest’ultimo caso, nei moduli monocristallini l’efficienza media si attesta intorno al 15-20% e nel caso del policristallino si varia dal 13% al 16%.

Professoressa Grancini, quali sono le potenzialità che offrono le perovskiti per il fotovoltaico?

Oggi sono una tecnologia fotovoltaica di estremo interesse non solo dal punto vista della ricerca scientifica, ma anche di innovazione industriale. Tuttavia, stiamo parlando di una ricerca che si sta approcciando solo ora al mondo industriale. Infatti, è ancora su scala di laboratorio. Ci sono alcune aziende che stanno cominciando a lavorare su questa tecnologia da 3-4 anni, non ci sono ancora prodotti sul mercato, ma è proprio questo il momento in cui si cerca di traslare quanto ottenuto a livello laboratoriale a una scala potenzialmente rilevante dal punto di vista commerciale. Il motivo è legato ai vantaggi decisamente interessanti conseguibili con le tecnologie riguardanti le perovskiti: bassi costi di produzione, possibilità di essere depositata su substrati flessibili (come pellicole), avere colori diversi e anche la semi-trasparenza. Tutte queste potenzialità sono un vantaggio che può essere decisivo anche per conquistare segmenti di mercato nuovi e diversi rispetto alle tecnologie al silicio.

Su quali ambiti state lavorando lei e il suo team?

Attualmente seguo due filoni paralleli di ricerca: il primo è legato a una ricerca di base, finanziata dal progetto europeo ERC “HY-NANO”, che vuole andare a studiare le proprietà chimiche e fisiche delle perovskiti. Questo perché si vogliono studiare, comprendere e approfondire le caratteristiche, i difetti, la modalità con cui la nano morfologia del film di perovskite va a cambiare le proprietà elettriche.

Il secondo si occupa della ingegnerizzazione dei dispositivi. In pratica, col mio team fabbrichiamo device a celle solari e ne testiamo le performance non tanto in termini di efficienza, quanto di stabilità. Effettuiamo test di aging, misuriamo la cella solare in diverse condizioni di luce, umidità, temperatura, sviluppando così una ricerca tecnologica.
Ma i due filoni non sono separati, tutt’altro. Quando comprendiamo qualcosa a livello di fondamentale, si possono conseguire vantaggi e conoscenze utili anche per la parte riguardante le sperimentazioni sui dispositivi.

A proposito del progetto ERC “HY-NANO” quali sono gli elementi di maggiore interesse?

HY-NANO riguarda una ricerca innovativa. Il nostro lavoro in particolare è mirato a disegnare degli elementi di perovskite funzionali a ottimizzare le performance. In estrema sintesi, noi operiamo non su una perovskite classica, ma la andiamo a modificare sensibilmente in diversi aspetti tra cui le caratteristiche elettroniche. Sviluppiamo interfacce ibride multidimensionali così come si farebbe – metaforicamente parlando – con i “mattoncini di Lego” per realizzare una nuova tecnologia solare efficiente, stabile ed ecologica. In questo senso, anziché contare unicamente su un solo tipo di mattoncino colorato, noi nei sviluppiamo molti e differenti con composizioni chimiche e strutture dimensionali diverse, a 2D e a 3D per migliorare le performance. Quindi l’elemento di novità riguarda lo stesso materiale.

Una delle ultime ricerche in cui lei è parte attiva, in collaborazione con l’Università di Dresda ha centrato il record di efficienza (23,7%) con architettura invertita. Su cosa avete lavorato?

Il lavoro (presentato in un articolo pubblicato su Science Advance – nda)  si è focalizzato sull’ottimizzazione delle interfacce. La cella a perovskite è costituita in strati sovrapposti, come fosse un sandwich, con il materiale attivo in mezzo a strati conduttivi. L’aspetto fondamentale è ottimizzare queste interfacce perché in esse si riscontrano difetti superficiali che inducono perdite di corrente.

L’obiettivo è stato sviluppare dei materiali dopanti che, mediante appositi accorgimenti, sono stati posti sopra e sotto la cella di perovskite. Così facendo, abbiamo abbattuto i difetti superficiali, migliorato la qualità cristallina del materiale che ha portato a elevare le performance tali da raggiungere livelli record.

Le potenzialità sono molto alte perché questo metodo funziona anche su dispositivi un po’ più grandi rispetto a quello dimostrato nella ricerca, ampio un centimetro quadrato. L’intenzione ora è aumentare l’efficienza su scala più grande.

Quando pensa potremo cogliere le potenzialità delle perovskiti su scala industriale, ovvero quando il solare del futuro potrà essere una realtà commerciale?

Non siamo lontani: ipotizzo una scala temporale di 5-10 anni al massimo. Bisogna però risolvere delle questioni legislative che vanno oltre la ricerca scientifica e che riguardano la presenza di piombo nella perovskite. Occorre capire come le regole europee andranno ad accettare o meno le quantità di questo metallo al loro interno. Servirà quindi una regolamentazione opportuna, come è accaduto alle celle solari al cadmio, in grado di fornire indicazioni chiare in merito. Si lavora anche a trovare alternative più sostenibili al piombo, ma le sue proprietà elettroniche sono tali per cui è difficilmente sostituibile. Però nel mondo della ricerca vale sempre l’adagio “mai dire mai”.

Anche noi operiamo su questo settore, come all’ottimizzazione dei materiali e del processo, su cui andremo a concentrarci anche nel prossimo futuro, insieme allo studio dei fenomeni fisici legati a questi materiali.

Inoltre stiamo iniziando un nuovo progetto sul riciclo dei materiali. Pensando alla forma di questi materiali, assimilabili un po’ allo smalto, è possibile riutilizzarli sciogliendoli col solvente, permettendo quindi la circolarità dei materiali.

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