Eolico italiano: il periodo che vive, tra opportunità e nodi da sciogliere

Aree idonee, Fer 2, Testo Unico: l’eolico onshore e offshore in Italia vivono momenti decisamente particolari, tra opportunità e criticità. Ecco cosa ne pensa il presidente ANEV, Simone Togni, sui recenti e futuri provvedimenti

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Eolico italiano: il periodo che vive, tra opportunità e nodi da sciogliere

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L’eolico italiano ha tutte le possibilità di creare energia e generare occasioni di crescita per l’economia e per l’occupazione. Nomisma Energia ha stimato un giro d’affari, da qui al 2050, di 277 miliardi di euro in investimenti per l’onshore, e di 294 miliardi per l’offshore. È un potenziale notevole, per una fonte rinnovabile che nel 2023 ha contato su una potenza installata di 12,3 GW, coprendo il 9% della produzione elettrica e il 7% dei consumi.

I numeri sono stati illustrati in occasione del 2° Summit Italiano sull’eolico offshore organizzato dall’ANEV – Associazione nazionale di riferimento per l’energia del vento.

La stessa associazione, in occasione dell’incontro, ha messo in evidenza, secondo propri studi confermati dal Global Wind Energy Council, che l’Italia è il terzo mercato a livello mondiale per potenziale di sviluppo dell’eolico offshore galleggiante: secondo gli studi dell’ANEV, al 2040 si potrebbe contare su 11 GW di potenza installata.

Queste sono le potenzialità. Ma poi c’è la realtà, fatta di situazioni intricate a livello normativo, innanzitutto, che rischiano di lasciare al palo il settore e di non centrare gli obiettivi fissati dal PNIEC al 2030.

Simone Togni, presidente AnevIn attesa del responso delle Regioni sulle Aree idonee e delle commissioni riunite Ambiente e Attività produttive sul Testo Unico sulle Rinnovabili (entro il 25 settembre devono fornire i loro pareri) come vive questo momento il settore eolico nazionale?

Lo abbiamo chiesto al presidente ANEV, Simone Togni.

Presidente Togni, per il settore eolico si preannunciano molte novità, a partire dal Decreto FER 2 al Decreto “Aree Idonee”. Quale giudizio date a quanto accaduto e che sta per accadere sull’eolico italiano?

«Innanzitutto dobbiamo separare il momento dell’eolico offshore e onshore. Il primo ha vissuto un’estate positiva. Penso, in particolare, al secondo summit, focalizzato sulla creazione di una filiera nazionale per l’eolico offshore, nella cui occasione il ministro delle imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, ha anticipato che stavano per partire con una delegazione governativa verso la Cina. Al suo rientro è stato siglato l’accordo (si tratta del Memorandum of Understanding tra il MIMIT, l’operatore Renexia e Mingyang Smart Energy, uno dei principali produttori al mondo di turbine eoliche per avviare una newco capace di fondare un sito industriale in Italia per produrre «gran parte della componentistica delle turbine, a partire dalla realizzazione di Med Wind, il più importante progetto di parco eolico offshore galleggiante del Mediterraneo», ha fatto sapere lo stesso MIMIT, annunciando così l’avvio della filiera industriale nazionale – NdA).

Previsioni di sviluppo eolico onshore e offshore in Italia
Questo è un aspetto assolutamente positivo: tanta più concorrenza ci sarà, tanto meglio sarà per tutto il settore.

Sempre sull’eolico offshore, è giunto il tanto atteso decreto FER 2, che deve sostenere la nascita e la crescita dell’eolico flottante, in particolare nel nostro Paese. Come ANEV, lo abbiamo commentato molto positivamente perché abbiamo potuto apprezzare lo sforzo del governo nell’inserire nel documento molte modifiche che avevamo richiesto – in qualità di associazione di riferimento del settore – per migliorare le bozze che erano circolate e che avevamo reputato inadeguate. Resta qualcosa da ottimizzare, relativamente all’adeguamento Istat della tariffa e del suo perimetro rispetto ai costi attuali dell’eolico offshore, lievitati a causa dei costi delle materie prime. Questi aspetti sono demandati al regolamento dell’aste che il GSE sta per predisporre e sul quale stiamo lavorando in maniera collaborativa con il rinnovato vertice del Gestore, la cui riconferma dei vertici è stata da noi molto apprezzata.

Quindi, per l’eolico offshore si apre una nuova era…

Proprio così. L’eolico offshore finalmente conta su un quadro normativo e regolatorio tale da consentire lo sviluppo di questa tecnologia e favorire l’interesse degli investitori nazionali ed esteri che vorranno affacciarsi in questo mondo. Certo, ora si deve lavorare per creare la filiera industriale e le infrastrutture necessarie, specie in termini di porti, viabilità e tutto l’intorno.

Che momento vive, invece, l’eolico onshore?

L’eolico “di terraferma” dovrà contribuire in maniera determinante al raggiungimento degli obiettivi del PNIEC al 2030 (di 28.140 MW di cui 2100 offshore), che sono molto ravvicinati. Alcuni impianti si stanno realizzando, tuttavia, dobbiamo aumentare in maniera significativa la corsa alla loro realizzazione.

Che momento vive l'eolico onshore in Italia

In quest’ottica, dopo una serie di positivi interventi da parte del Governo Meloni, che – va detto – proseguivano in coerenza su una strada già avviata dal governo Draghi in termini di semplificazione di procedure, con interventi molto positivi e che stavano dando finalmente importanti risultati in termini di nuova installazione, c’è stato un brusco rallentamento, causato dal Decreto “Aree Idonee”.

Quali sono le criticità che ravvisate nel Decreto, fondamentale per l’installazione di impianti a fonti rinnovabili?

Vi sono svariati elementi critici e farraginosità che secondo noi rallenteranno in maniera significativa le installazioni per almeno un anno, ovvero il tempo necessario per mettere gli strumenti di legislazione secondaria da parte delle Regioni.

Quali sono le criticità che ravvisate nel Decreto aree idonee, fondamentale per l'installazione di impianti a fonti rinnovabili?
Oltre a ciò, a nostro avviso provoca un enorme rischio di contenziosi che si potranno generare. Nelle bozze del decreto era stato – giustamente – mantenuto il perimetro delle aree idonee già definite nel Decreto Ministeriale di carattere nazionale. Ricordo che, quando fu definito questo schema, il Governo emanò il provvedimento che andava a tutelare un principio: in attesa che le regioni definissero le proprie aree idonee, si stabiliva come idonee quelle già individuate, dove già esistevano impianti eolici. Su quella decisione, gli operatori in questi anni hanno sviluppato iniziative su tali aree. Invece, nel testo licenziato dal ministro dell’Ambiente e che è divenuto poi legge è saltata questa clausola di salvaguardia, fondamentale. Questo fattore, insieme ad altre criticità già da noi segnalate, ci hanno portato necessariamente a definire i motivi di illegittimità di tale norma, che provvederemo a impugnare.

Possiamo comprendere, per certi versi, le ragioni che hanno spinto il ministero a licenziare il provvedimento, dati i tempi stretti: era una delle misure necessari per ottenere la trance del PNRR. Il quadro, però, provoca una notevole instabilità.

A proposito del Testo Unico Rinnovabili, che giudizio ne dà? Che impatto potrà avere sull’eolico italiano?

È molto preoccupante. Nonostante i nostri tentativi e richieste di modifica, il Testo Unico Rinnovabili è uscito in questi giorni, divenendo così definitivo. Purtroppo crea un enorme problema per due motivi. Un primo motivo è l’azzeramento del PUA (Provvedimento unico amministrativo), e non si comprende quale possa essere la reale ragione di questa decisione. Alcune regioni stavano usando il PUA, in alternativa all’autorizzazione unica, anche in maniera molto efficace.

L’altro problema, più grave, di questo provvedimento è che si sono “dimenticati” di trascrivere gli aspetti relativi alla procedura di esproprio delle aree interessate dagli impianti. Si tratta di una procedura che definisce in maniera chiara le modalità di remunerazione, a prezzi di mercato, del terreno oggetto di un impianto, solo qualora le tempistiche che un’attività di acquisizione di terreno in maniera tradizionale non consenta di essere in tempo con la realizzazione degli impianti.

Perché avviene questo?

Quando si fa un processo autorizzativo, viene chiesto all’operatore di avere la disponibilità dei terreni sui quali l’impianto dovrà essere realizzato. Per le opere pubbliche o di pubblica utilità, viene concessa la possibilità di attivare il processo abilitativo per l’acquisto dei terreni. Esso viene utilizzato, in maniera assolutamente residuale, tuttavia evita situazioni spiacevoli e che possono avvenire da parte di un singolo proprietario – anche solo di una piccola parte di un’area interessata da un sorvolo di un impianto eolico – che può decidere di decidere un prezzo completamente fuori mercato e, se non accontentato, di non dare il diritto di superficie, una sorta di concessione temporanea per il periodo in cui l’impianto sarà attivo.

Questa mancanza comporta l’impossibilità di realizzare impianti necessari per raggiungere gli obiettivi FER nazionali, quindi da ritenersi opere di pubblica utilità, indifferibili e urgenti. La procedura espropriativa garantisce al proprietario il giusto riconoscimento del valore di mercato del terreno, ma consente anche all’operatore che promuove l’iniziativa di avere la disponibilità di acquistare il terreno nei tempi necessari per realizzare il piano. Quindi rappresenta un tema cruciale che oggi non è presente nel provvedimento e assolutamente indispensabile se non si vuole bloccare lo sviluppo degli impianti FER.

È di questi giorni la notizia, comunicata dalla Banca Europea degli Investimenti, secondo cui la BEI sta attivando un’iniziativa da 5 miliardi di euro per supportare i produttori di apparecchiature per l’energia eolica in Europa. 

Quanto potrà essere di stimolo anche per sostenere attività di sviluppo eolico anche in Italia?

Queste risorse sono utilizzate per finanziare le iniziative in maniera privata sotto forma di prestiti. Lo schema tipico di realizzazione di progetti attivati con tali fondi è il project financing.

Detto questo, in Italia un’opportunità di questo genere non sarà possibile finché non ci sarà un quadro normativo chiaro e definito. Nessun investitore estero verrà a mettere soldi per realizzare impianti in Italia dopo aver letto il Testo Unico sulle Rinnovabili: anziché essere un testo di semplificazione, di fatto comporta diversi passi indietro nello sviluppo dei rinnovabili e non consente oggi a nessuno di realizzare un impianto, se non definendo dei criteri incompatibili con la realizzazione dello stesso. Senza la possibilità di attivare la procedura espropriativa gli impianti, non si potranno realizzare, a detrimento degli obiettivi PNIEC da raggiungere.


5/01/2024

Il 2024 per l’eolico italiano secondo Simone Togni

Simone Togni, presidente dell’Associazione nazionale energia del vento pone attenzione su quanto fatto nell’anno appena concluso e su quanto c’è da fare nel 2024, nell’eolico onshore e offshore

Il 2024 per l’eolico onshore e offshore italiano secondo il presidente Anev Simone Togni

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Che anno sarà il 2024 per l’eolico italiano? Presto per dirlo, ma già ci sono elementi da definire e che potrebbero pesare parecchio sul futuro dell’energia eolica onshore e offshore.

A proposito di quest’ultima, si è tenuto a dicembre il primo summit nazionale, organizzato da ANEV – Associazione nazionale energia del vento, il cui presidente Simone Togni ha delineato un futuro di ampio respiro: “l’obiettivo del Pniec al 2030 è di 2,1 GW, ma noi abbiamo dato come target i 10 GW da qui a dieci anni: questo è nelle potenzialità italiane”.

Abbiamo voluto incontrarlo proprio per comprendere con lui quali sono le prospettive e le attese sull’energia eolica.

Presidente Togni, al summit nazionale sull’eolico offshore Massimiliano Atelli, presidente della Commissione Via e Vas del Governo ha parlato di un 2023 “simile anno all’anno zero”.

Quali sono gli elementi positivi tratti dal summit e quelli su cui occorre intervenire?

Questo summit ha avuto il pregio di mettere un po’ in ordine tutte le tematiche e di delineare ciò che difetta ancora per poter considerare il 2024 l’anno buono per la partenza per lo sviluppo della tecnologia offshore.

Simone Togni: necessario un quadro normativo stabile per lo sviluppo dell'eolico offshore in Italia

Certamente manca un quadro normativo e regolatorio stabile e capace di fornire una prospettiva in termini di visione adeguata agli investitori. Inoltre manca la parte infrastrutturale e industriale. Su tutti i fronti siamo molto vicini a essere pronti, ma su nessuno già lo siamo. Nel settore della ricerca abbiamo visto che vi sono molte attenzioni e attività avviate, anche legate alla produzione combinata di eolico e di idrogeno verde. Certo, ancora manca quella maturità tecnologica che necessita di strumenti di sostegno adeguati. Senza questa premessa questo settore non può partire.

Per l’eolico offshore lei ha affermato che “l’obiettivo del Pniec al 2030 è di 2,1 GW, ma noi abbiamo dato come target i 10 GW da qui a dieci anni, e questo è nelle potenzialità italiane”. Quali sono i punti fondanti perché ciò si verifichi?

Realizzare impianti eolici offshore significa investire dai 6 agli 8 anni per vederli installati e produrre energia elettrica. Quindi, se si partisse oggi in modo concreto potremmo contare sui primi impianti a cavallo del 2030.

Le potenzialità dell'eolico offshore in Italia

A oggi l’investitore che intende puntare sull’eolico offshore ancora non sa quale sia il meccanismo e la tariffa riconosciuta a questi impianti. È evidente quindi che nessuno può stanziare decine o centinaia di milioni di euro senza sapere quale sarà il ritorno degli investimenti.

Ecco il punto cruciale: la mancanza di chiarezza. Attualmente manca all’appello il “decreto FER II”, che si dice essere solo questione di giorni, ma in realtà ci viene detto già dalla scorsa estate ed è un decreto che attendiamo da più di due anni. Una volta emanato, se i numeri contenuti saranno adeguati, potrebbe partire quella corsa che nei sei anni successivi permetterebbe di giungere ai primi impianti.

Quindi riteniamo più che ragionevole fissare un ordine temporale decennale per fare delle previsioni solide. Posto tutto ciò, secondo noi in dieci anni 10 GW potrebbero essere possibili.

Il 2023 che anno è stato per l’eolico italiano nel suo complesso?

Il dato relativo all’installato si chiuderà tra 400 e 450 MW; sebbene sia ancora poco significativo in termini assoluti, tuttavia conferma una lenta linea di crescita degli ultimi anni.

Negli obiettivi e nei numeri che il Governo ha trasmesso a Bruxelles sotto forma di Pniec si fissa un obiettivo poco superiore a 1 GW all’anno: quindi siamo a meno della metà dell’obiettivo atteso, dal punto di vista dell’installato che però è il risultato di un processo autorizzativo lungo cinque anni circa.

Stiamo assistendo all’arrivo di un numero di autorizzazioni crescente rispetto agli anni scorsi, anche se ancora inferiori rispetto all’obiettivo del Piano nazionale energia e clima. Quindi, occorre accelerare.  Pongo l’accento su un tema…

Quale?

La distanza tra il processo ambientale ancora troppo lungo, seppure l’attuale Commissione VIA – gliene va dato atto con piacere – sta invertendo la rotta degli ultimi anni. Tuttavia i processi di valutazione d’impatto ambientale sono ancora troppo lunghi.

Soprattutto, una volta ottenuta la VIA, c’è l’ostacolo dei decreti autorizzativi e ai successivi tempi prolungati. Queste tempistiche non sono compatibili con gli obiettivi che si è data l’Italia.

A livello normativo e regolatorio, che cosa vi aspettate dal 2024?

Dal summit sull’eolico offshore sono emerse molte proposte: una che voglio ricordare riguarda la semplificazione delle concessioni di impianti offshore che snellirebbe sensibilmente i business plan aziendali perché l’infrastruttura di rete è un aspetto molto importante, specie su impianti di questo tipo. Contare sulla prossimità all’impianto invece che a terra sarebbe davvero un ottimo risultato.

Un’altra proposta di interesse, per evitare di riconoscere tariffe troppo elevate dato che oggi l’eolico offshore flottante è molto oneroso, potrebbe essere quella di introdurre dei meccanismi di agevolazione fiscale, una sorta di tax credit simile a quello americano utilizzato proprio per lo sviluppo dell’eolico. Potrebbe essere utile perché, seppure determini una riduzione di gettito a livello immediato, stimolerebbe la crescita di un comparto in termini industriali e occupazionali.

A proposito di eolico e dinamiche europee, lei ha espresso soddisfazione per l’adesione dell’Italia alla European wind charter.

Quale elemento di spinta e di stimolo può rappresentare per l’eolico italiano ed europeo?

Faccio una premessa. A livello politico, i governi italiani succeduti negli ultimi anni hanno sempre fornito sostegno teorico allo sviluppo delle rinnovabili, ma poi spesso alle parole non sono conseguiti fatti concreti. Posto questo, l’Italia ha obiettivi comunitari generosi, un PNIEC adeguato, delle normative che sulla carta sono sufficientemente agevolative per lo sviluppo delle rinnovabili e della semplificazione prevista per l’autorizzazione degli impianti, per i rifacimenti… Nella realtà dei fatti, però, c’è poco coraggio nell’applicare queste norme. Quindi, al quadro sostanzialmente positivo non conseguono adeguati strumenti.

Ecco, allora, che la firma e l’adesione del Governo italiano alla European Wind Charter (iniziativa caldeggiata da ANEV) la riteniamo una notizia positiva. Essa pone una serie di punti molto chiari e indica ai Governi aderenti le azioni da compiere per eliminare quelle barriere distorsive che oggi stanno impedendo alle tecnologie rinnovabili di svilupparsi adeguatamente. Il mio auspicio è che, oltre all’adesione formale, vi sia una corrispondente e adeguata risposta in termini di strumenti per raggiungere gli obiettivi in essa contenuti.


Articolo aggiornato – Prima pubblicazione gennaio 2024

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