Reti elettriche per la transizione energetica: fondamentali, ma a che punto siamo?

Il progressivo aumento della generazione distribuita implica un cambiamento importante anche a livello di reti. L’Italia a che punto è? Risponde Carlo Alberto Nucci, docente universitario ed esperto di fama internazionale

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Reti elettriche per la transizione energetica: fondamentali, ma a che punto siamo?

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Le reti elettriche per la transizione energetica sono fondamentali. Anche se oggi l’attualità ci parla di gas, di prezzo dell’energia, di caro bollette, un tema cruciale, anche se non percepito come tale, è sicuramente quello legato al ruolo svolto dalle reti elettriche, di trasmissione di distribuzione dell’energia.

Come sono messe in questo momento le reti di trasmissione delle reti di distribuzione dell’energia a livello italiano ed europeo e per supportare questa tanto auspicata transizione energetica? Lo abbiamo chiesto a Carlo Alberto Nucci, docente di Sistemi elettrici per l’energia presso l’Università di Bologna e rappresentante nazionale nella Mission EU ‘Climate Neutral and Smart Cities’.

Carlo Alberto Nucci, docente di Sistemi elettrici per l'energia presso l'Università di Bologna«Il sistema elettrico nazionale, in termini di reti di trasmissione e di distribuzione è all’avanguardia nel mondo e i ricercatori e tecnici italiani, alcuni dei quali – formatisi in Italia – hanno trovato impiego all’estero, si posizionano nello stesso modo. Il nostro Paese ha una tradizione tecnico scientifica in ambito elettrico molto apprezzata: non a caso, una delle prime vere smart grid è stata realizzata nel nostro Paese, in occasione dell’Expo a Milano nel 2015.
I presupposti, quindi, sono ideali. Ciò che manca oggi per realizzare la transizione energetica è la quantità di generazione da fonte rinnovabile che non è diffusa come potrebbe nel nostro paese. Se pensiamo, per esempio, agli obiettivi del PNIEC, che sono almeno 40 GW di capacità eoliche e fotovoltaiche al 2030, occorre accelerare».

Professor Nucci, quindi sono pronte le reti elettriche per la transizione energetica?

In termini strutturali, per far fronte a questo cambiamento, occorre pianificare dove questa generazione da fonte rinnovabile possa essere connessa. Esistono dei limiti tecnici.
Un esempio: un grosso parco fotovoltaico, non può essere collegato a una rete di bassa o media tensione, superati i 10 MW bisogna collegarsi alla rete di alta tensione. Quindi, grosse quantità di fonti di energia e potenza da fonte rinnovabile richiedono un livello di tensione elevato. Questo perché la potenza elettrica è, in estrema sintesi, data dal prodotto della tensione per la corrente. Dato che quest’ultima è legata alla sezione dei cavi, che oltre una certa sezione risultano non più proponibili dal punto di vista tecnico-economico, per iniettare maggiore potenza occorre collegarsi a una rete ad alta tensione.

Reti elettriche per la transizione energetica, a che punto siamo

Invece, potenze più modeste si possono collegare alle reti con tensioni più basse. Quindi, se si considera l’insieme, una cospicua quantità di generazione distribuita, singolarmente di taglia modesta, può essere collegata alla rete di distribuzione e una quantità considerevole anche alla rete di bassa tensione: occorrono naturalmente maggiori punti di connessione. Le comunità energetiche possono realizzare questo.
La Legge 8/2020 aveva posto il limite di 200 kW alla potenza da installare per le comunità energetica, ed individuato come punto di collegamento alla rete il lato bassa tensione delle cabine secondarie che trasformano la media in bassa tensione. Questo limite è stato poi recentemente elevato a 1 MW con il Dlgs 199/2021, quindi cinque volte tanto, con possibilità di collegarsi alle cabine primarie, che trasformano l’alta tensione in media. Le possibilità, quindi, sono davvero ampie, e le reti, pur all’avanguardia, richiedono certamente opportune modifiche, che nel caso delle comunità energetiche posso trarre vantaggio dal fatto che la produzione di energia avviene dove è richiesta.

Quale ruolo possono avere le comunità energetiche nella transizione energetica?

Premesso che sono favorevole a una sempre maggiore presenza di generazione distribuita e a una differenziazione delle fonti energetiche, cioè non solo fotovoltaico, non solo eolico, non solo nucleare, e che occorre rassegnarsi al fatto che di gas ne occorrerà ancora per diversi anni in attesa di raggiungere gli obiettivi di neutralità climatica pervisti dall’Europa per il 2050, le comunità energetiche rappresentano uno degli strumenti con i quali realizzare la transizione energetica: non si risolverà tutto con le CER, anche se forniranno un importante contributo. L’Europa desidera che nel 2030 il 20% di energia prodotta nelle città metropolitane provenga da comunità energetiche. Ciò significa che le comunità energetiche rinnovabili costituiranno un elemento fondamentale. Oggi, però, siamo indietro rispetto a questo obiettivo. La potenza elettrica installata in Italia oggi è esuberante rispetto ai nostri bisogni e abbiamo quasi il doppio di quello che il nostro Paese necessita come potenza di picco che è sui 60 GW, ma ben oltre il 50% è da fonte fossile. Aggiungere 10 GW prodotti da CER, significa che di comunità da 1 MW occorre installarne una decina di migliaia.

Come fare allora per raggiungere questo obiettivo?

Pensiamo ai Comuni italiani: se ne contano poco più di 7900. Se ognuno di loro realizzasse una comunità energetica di grossa taglia o più di taglie minori – oggi più che un obiettivo è un sogno – si potrebbe centrare l’obiettivo. Non è un però sogno irrealizzabile, tutt’altro.

Quale ruolo possono avere le comunità energetiche nella transizione energetica?
Tra PNRR e altri fondi strutturali è ragionevole pensare di arrivare almeno a 5 GW di comunità energetiche in Italia al 2030. Di certo, ciò comporta una maggiore complicazione della gestione della rete, che è cambiata e cambierà ancora di più rispetto a quella che esisteva fino ai primi anni Duemila. Un modello centralizzato, basato su fonti fossili ma dispacciabili che assicuravano (e assicurano) piena disponibilità di produzione energetica quando viene richiesta e che si avvale della presenza degli alternatori, fondamentali grazie alla loro inerzia per mantenere l’equilibrio di un sistema che deve vedere produzione di energia e consumo equilibrarsi in ogni istante, è un modello consolidato e molto ben funzionante, ma non è eco-sostenibile. La generazione distribuita da fonte rinnovabile e le CER offrono evidenti benefici in tal senso, sono spesso complicazione di natura burocratica a rallentarne l’affermazione.

Qual è il grande vantaggio di contare sulla generazione distribuita?

Con la generazione distribuita si riduce la necessità di trasportare energia a grande distanza perché si produce ciò che si consuma direttamente sul posto. Una comunità energetica ha la capacità di caricare il veicolo elettrico nella colonnina del quartiere della stessa CER con l’energia prodotta dai suoi pannelli fotovoltaici. Ci sarà sempre bisogno della rete elettrica, come elemento fondamentale per il saldo energetico o di accumulatori, che rivestiranno un ruolo sempre più importante. Però si mette in moto un cambiamento radicale e virtuoso: produco laddove consumo, con fonte rinnovabile, anche in centro città, senza che la centrale provochi inquinamento, usando come fonte il fotovoltaico, l’eolico o il biogas. Certo, il tutto è più complicato da gestire per la diminuzione di inerzia garantita dagli alternatori, sostituiti dagli inverter, dalla non dispacciabilità delle fonti, ma può contare su altri fattori, uno dei quali è la digitalizzazione.

Cosa cambia con la digitalizzazione e l’ICT?

La rete di distribuzione tradizionale era caratterizzata da una certa scarsità del flusso di informazioni. Gli utenti erano ‘passivi’, assorbivano cioè solo energia, si parlava di consumer. Oggi utenti, comunità energetiche, producono anche energia, si parla di prosumer ed i flussi conseguenti nelle reti devono essere monitorati. Secondo il paradigma attuale e ancor più quello del prossimo futuro, la rete di distribuzione deve quindi contare su una crescente ricchezza di dati, e quindi di strumenti in grado di acquisirli in tempo reale o quasi. Non a caso si è introdotto il termine smart grid, rete intelligente. È vero, la rete elettrica è stata considerata la più grande conquista ingegneristica del XX secolo. Però il cambiamento in atto, che si basa anche sulla necessità di un apporto, in termini di ICT, Information and Communication Technology sempre più diffuso, la sta rendendo ancora più smart. Questa è una delle differenze tra la rete classica e la moderna smart grid, che a contro di una maggiore complessità nella gestione porta a vantaggi superiori in termini di eco-sostenibilità, efficienza ed affidabilità.

A proposito di smart grid, a che punto siamo, anche in termini di cyber security?

Una rete più complessa, con più generazione distribuita da fonte rinnovabile non dispacciabile, richiederà non solo più capacità di accumulo e più ICT, ma anche maggiore attenzione alla cyber security. Certo, una rete elettrica più complessa, così come lo è la società odierna, è anche più vulnerabile. A questo punto si sta lavorando molto seriamente. Sono convinto, però, che nel momento in cui tutta la generazione da fonte rinnovabile che richiedono gli obiettivi UE sarà disponibile per essere collegata alla rete, il sistema elettrico si farà trovare pronto anche in tal senso. Non considero, quindi, il nostro come uno dei Paesi in cui la rete elettrica costituirà il problema, in quanto non adeguata. L’ostacolo maggiore che vedo oggi non è la complessità tecnologica, ma la burocrazia, che ad esempio sta rallentando il procedimento d’instaurazione di comunità energetiche o la costruzione di parchi eolici, e che andrebbe snellita. Anche la sensibilizzazione sociale non ha raggiunto il livello necessario per favorire lo sviluppo, la accettazione e la partecipazione dei cittadini a tali forme di produzione di energia elettrica. Tuttavia, anche grazie al contributo di alcuni progetti europei, tra i quali, ad esempio, GECO e GRETA in cui sono impegnati ricercatori dell’Università di Bologna, oltre a quelli di ENEA e di agenzie regionali per lo sviluppo sostenibile, come AESS, si stanno compiendo progressi in tal senso. L’instaurazione delle comunità energetiche, lo sviluppo e la diffusione di dispositivi come le smart energy box, o di app in grado di gestire automaticamente accensione o spegnimento dei carichi elettrici per massimizzare l’energia condivisa della comunità, contribuirà non solo a ottimizzare la produzione energetica, ma anche a fornire una maggiore consapevolezza d’impiego in tutti noi utenti finali, e a farci comprendere il valore dell’energia che utilizziamo.

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