Approvato il PNACC, Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici

Il ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica ha approvato, con decreto n. 434 del 21 dicembre 2023, il Piano Nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici. L’obiettivo è combattere gli impatti del riscaldamento globale sul nostro Paese, riducendo al minimo i rischi e migliorando la resilienza naturale, sociale, economica.
In evidenza i rischi, dall’aumento della temperatura tra 1 e 5 gradi entro il 2100 al maggior pericolo di incendi, alla fragilità del territorio esposto a frane e alluvioni, fino all’innalzamento del livello del mar Mediterraneo anche di 19 centimetri nel periodo 2036-2065.

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Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici

Approvato dal MASE con Decreto n. 434 del 21 dicembre 2023 il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (PNACC), importante strumento – atteso da anni – che ha l’obiettivo di fornire un quadro di indirizzo nazionale, di breve e lungo temine, attraverso la definizione di misure per l’adattamento al cambiamento climatico, per combattere la siccità, il dissesto idrogeologico, le frane e le alluvioni, e in generale gli impatti del riscaldamento globale sul nostro Paese. Nel complesso il Piano prevede 361 azioni rivolte ai sistemi naturali, sociali ed economici.

Ora che è stato completato il processo di VAS (Valutazione ambientale strategica), saranno avviate le attività a livello di governance per definire modalità e strumenti di attuazione delle varie misure previste dal PNACC. Si procederà inoltre all’insediamento dell’Osservatorio nazionale, che dovrà garantire l’immediata operatività del Piano attraverso l’individuazione delle azioni di adattamento nei diversi settori.

Il paese a rischio, tra siccità e alluvioni

Secondo quanto contenuto nel Piano in Italia nel 2022 è aumentata la siccità, con una riduzione del 40% di pioggia rispetto al periodo 1991-2020, e allo stesso tempo sono sempre più presenti eventi meteorologici estremi, che, ricorda Legambiente, nel 2023 sono arrivati a 378. Viene ricordata la carenza idrica, lo sgretolamento del ghiacciaio della Marmolada, il caldo eccezionale anche per diversi giorni di fila, le tempeste di fine agosto e settembre nelle Marche, fino all’alluvione e alla frana di Ischia. Nel 2023 non possiamo non ricordare l’alluvione che ha colpito l’Emilia Romagna e tutti gli indicatori dicono che lo scorso anno sarà il più caldo di sempre.

In Italia la temperatura media aumenterà tra gli uno e i cinque gradi centigradi entro il 2100. Nelle scenario ad elevate emissioni, si prevede inoltre un calo significativo delle precipitazioni (fino al 20% nel 2050) nel sud Italia e nelle isole e un loro aumento nelle regioni del nord.

In Italia la temperatura media aumenterà tra gli uno e i cinque gradi centigradi entro il 2100.

Proprio per via dell’aumento delle temperature, in futuro la domanda di energia per l’Italia sarà più bassa per il riscaldamento durante l’inverno e molto più alta per l’aria condizionata in estate. Sempre per colpa delle ondate di caldo è atteso anche “un significativo aumento del pericolo di incendi, fino al 20% in più sugli Appennini e sulle Alpi”.

Nel nostro paese aumenta anche il pericolo di frane e alluvioni; un aspetto che – si rileva nel Piano – “necessita di esser studiato con maggior dettaglio”. Dalle analisi sul dissesto idrogeologico “si evince un generale incremento” sia in termini di volumi che intensità. Secondo i dati di ISPRA, è infatti “elevata la vulnerabilità” del suolo: quasi il 94% dei comuni italiani è a rischio per frane, alluvioni e erosione costiera, e oltre 8 milioni di persone abitano nelle aree ad elevata pericolosità.

Allarme per il livello del mare

Il livello del mare italiano – mette in evidenza ancora il Piano di adattamento – potrebbe salire nel periodo 2036-2065 fino a 19 centimetri in più nei mari Tirreno e Ligure e nel Mediterraneo occidentale, se non si metteranno a punto azioni di mitigazione del clima. E la temperatura delle acque potrà crescere da 1.9°C a +2,3 gradi centigradi nel mar Adriatico.

Clima: il livello del mar Mediterraneo potrebbe salire fino a 19 centimetri in più

Il Piano include inoltre un’analisi di diversi ambiti che impattano sul cambiamento climatico, considerando la vulnerabilità del territorio italiano.

  • Criosfera e montagna: la neve negli ultimi anni si è fortemente ridotta, così come lo stock idrico nivale che si accumula a fine stagione. I ghiacciai hanno perso fino al 40% del proprio volume.
  • Risorse idriche, fondamentali per lo sviluppo sostenibile e la crescita economica. L’Italia è stata classificata dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico come un paese soggetto a stress idrico medio-alto. Inoltre si segnala una differenza significativa delle risorse idriche a livello regionale. Senza dimenticare che il cambiamento climatico impatta sulla qualità e quantità delle stesse.
  • Ambiente marino, biodiversità e zone umide: Il Mar Mediterraneo, oltre a essere sovrasfruttato, è soggetto agli effetti del cambiamento climatico a causa della sua posizione e della sua modesta estensione. La temperatura delle sue acque ha iniziato ad aumentare dalla metà degli anni ’80 e tale trend non accenna a fermarsi. Le ondate di calore negli ultimi 20 anni sono aumentate di intensità e frequenza.
    Il cambiamento climatico impatta sugli ambienti delle zone umide, che svolgono un prezioso ruolo a difesa della biodiversità. In Italia sono presenti 1.511 zone umide e la loro estensione totale ammonta a 771.125 ha.
  • Gli ambienti costieri: la minaccia in questo caso è duplice: l’innalzamento del livello del mare e l’aumento degli eventi estremi che impattano con forza sui sistemi costieri, spesso densamente popolati e ad elevata urbanizzazione.

Sintesi delle misure previste dal PNACC

Sintesi delle misure previste dal PNACC per l'adattamento al clima

Le prime reazioni

Polemico il commento del WWF che parla di un primo passo necessario ma segnala che il Piano pubblicato non ha risolto le criticità della precedente versione ed evidenzia la “mancanza di decisioni chiare e coraggiose, ottima identificazione sintetica dei possibili impatti e problemi, scarsa e deficitaria individuazione delle cose da fare e di come finanziarle“. E’ inoltre inammissibile che dopo 7 anni il Piano preveda “possibili opzioni di adattamento che troveranno applicazione nei diversi strumenti di pianificazione, a scala nazionale, regionale e locale”. Manca infine una vera analisi economica e sociale., che dovrebbe essere alla base della programmazione e il Piano non individua nuove risorse sui finanziamenti, prevedendo l’uso di risolrse esistenti. L’associazione si augura che i decreti attuativi e gli organi di governance sappiano correggere gli attuali limiti.

Legambiente, pur soddisfatta, chiede che siano stanziate le risorse (attualmente assenti anche nella Legge di Bilancio 2024) per attuare tutte le 361 azioni previste. Bisognerà inoltre
approvare un PNIEC, Piano Nazionale Integrato Energia e Clima, con obiettivi più ambiziosi di produzione di energia rinnovabile e di riduzione di gas climalteranti al 2030; una legge sullo stop al consumo di suolo che ancora manca all’appello dopo oltre 11 anni dall’inizio del primo iter legislativo, semplificando anche la demolizione e la ricostruzione degli edifici esistenti ed entro tre mesi si emani il decreto che attiva l’Osservatorio nazionale per l’adattamento ai cambiamenti climatici, con funzione di coordinamento tra i livelli di governo del territorio e dei vari settori“.

Per il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica Gilberto Pichetto “si tratta di uno strumento di programmazione essenziale per un Paese come il nostro, segnato da una grave fragilità idrogeologica“.


Articolo aggiornato – prima pubblicazione 9/1/23

 

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Normativa, Sostenibilità e Ambiente

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