Cambiamenti climatici: gli indicatori chiave del clima globale

Gli indicatori climatici chiave sono indispensabili per valutare lo stato del clima globale e capire a che punto siamo con i cambiamenti climatici. E capire cosa ancora si può fare per garantirci un futuro sostenibile.

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Cambiamenti climatici: gli indicatori chiave del clima globale

Il 2024 è stato l’anno più caldo di sempre, per la prima volta la temperatura media globale ha superato di 1,5°C il livello preindustriale, come confermato da Copernicus e dal Report WMO dell’Organizzazione Metereologica Mondiale (OMM). Eppure, secondo l’analisi del Climate Action Tracker, le azioni dei governi sono inadeguate: solo sei dei paesi analizzati abbiano presentato i nuovi obiettivi climatici al 2035 entro la scadenza del 10 febbraio 2025 prevista dall’Accordo di Parigi e, di questi, solo il Regno Unito ha proposto misure realmente allineate al limite di 1,5°C di aumento della temperatura globale.

Seguendo alcuni dei più autorevoli testi scientifici in materia, come il report “State of the Global Climate 2024” prodotto annualmente dall’Organizzazione Metereologica Mondiale o World Meteorological Organization (WMO), i rapporti del Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (IPCC), quelli delle Nazioni Unite e altri, tenteremo di sviscerare gli elementi chiave del clima, quegli indicatori climatici che ne permettono di valutare la sua evoluzione temporale.

Nei prossimi articoli, invece, approfondiremo cause ed effetti dei cambiamenti climatici e le misure di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici.

Sicuramente non è sempre facile accedere ad informazioni veritiere, scientifiche e chiare. Nel maremagnum di internet si celano profonde insidie, fonti non sempre affidabili e verificate, a volte false e tendenziose (le cosiddette fake news o bufale) o semplicemente parziali e mirate a portare avanti quella verità che fa più comodo, quell’ideale lucroso. Che siano cittadini, politici, organizzazioni e aziende con particolari interessi, poco importa. Qui proverò a far parlare i dati, quelli più autorevoli e scientifici esistenti in materia, precludendo ogni osservazione personale.

Perché il clima sta cambiando, su questo ormai siamo tutti d’accordo, ma non bisogna allarmarsi. C’è ancora tempo per sistemare le cose. Occorre però agire tutti insieme e in fretta. Per un futuro sostenibile, per noi ed i nostri figli. Per garantire acqua, terra e risorse naturali a tutti.

Che cosa sono i cambiamenti climatici

Per cambiamento climatico si intende un cambiamento del clima attribuito direttamente o indirettamente all’attività umana che altera la composizione dell’atmosfera globale e che si aggiunge alla variabilità climatica naturale osservata in periodi di tempo comparabili”. Questa è la definizione riportata nel trattato internazionale – la Convenzione delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC), firmato nel 1992 dalla maggior parte dei Paesi del Mondo.

Che cosa sono i cambiamenti climatici

Esiste un consenso scientifico, pressoché unanime, sulle cause antropiche della crisi climatica. Riscaldamento globale, aumento delle temperature, siccità, scioglimento dei ghiacciai e innalzamento del livello del mare, riduzione delle riserve d’acqua, uniti ad eventi estremi come alluvioni e ondate di calore, sono sempre più frequenti e intensi. È vero ci sono momenti di calma, e la tentazione di minimizzare o screditare i cambiamenti climatici è forte, ma questo non deve ingannare. Per meglio comprendere il cambiamento climatico è necessario valutare lo stato del clima globale su un lungo periodo, anni e decenni.

Comunicare il cambiamento climatico: l’appello degli scienziati

In un momento storico di forte negazionismo e ritorno ai combustibili fossili delle politiche globali (Trump ritira gli USA dall’Accordo di Parigi e l’Europa va in guerra), è per me doveroso e urgente raccogliere l’appello lanciato da cento autorevoli scienziati italiani (tra cui Giorgio Parisi, premio Nobel per la Fisica 2021 e Prof. emerito all’Università La Sapienza di Roma), figure di spicco del mondo accademico e della ricerca. Raccolgo dunque l’invito a parlare delle cause della crisi climatica, e delle sue soluzioni attraverso l’uso delle più prestigiose fonti scientifiche disponibili, per raccontare i cambiamenti climatici attraverso i principali indicatori chiave che caratterizzano lo stato del clima e la sua evoluzione nel tempo.

Comunicare il cambiamento climatico: l’appello degli scienziati

Vista la mole delle informazioni disponibili sull’argomento, lo stesso sarà diviso in tre distinti e correlati articoli che concorreranno a dare una visione d’insieme unitaria. Cominciamo con un’analisi dello stato del clima attuale, sviscerando una serie di indicatori climatici chiave che ne permetteranno la comprensione dal punto di vista dei cambiamenti climatici in atto attraverso il confronto coi decenni passati.

Lo stato del clima globale 2024

Per monitorare lo stato del clima globale viene utilizzata un’ampia gamma di variabili, che include la rendicontazione su scale temporali annuali, come ad esempio la serie “State of the Climate” dell’Organizzazione Meteorologica Mondiale, i rapporti sullo stato del clima pubblicati tramite il BAMS (Blunden et al. 2024), nonché i Rapporti di Valutazione sistematici dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), a cui si rimanda per approfondimenti (la bibliografia completa è in fondo all’articolo).

Il rapporto State of the Global Climate 2024 della World Meteorological Organization (WMO), pubblicato il 19 marzo 2025, evidenzia il rapido impatto del cambiamento climatico. A livello globale, il 2024 è stato l’anno più caldo mai registrato (su 175 anni di registrazioni), il primo anno con una temperatura media globale superiore a 1,5 °C rispetto al livello preindustriale. Può sembrare di aver fallito l’obiettivo dell’Accordo di Parigi, che è ancora possibile seppur a condizione di agire con urgenza (l’obiettivo di 1,5 °C si riferisce alla temperatura media che supera questa soglia in un periodo di 20 anni). La temperatura media degli ultimi cinque anni è stata più alta di 1,3 °C. Gli ultimi 10 anni sono stati i dieci anni più caldi mai registrati.

Cambiamenti della Terra in 50 anni
Cambiamenti della Terra in 50 anni. A sinistra la prima immagine satellitare della storia, la “Blue Marble” del 1972. A destra: l’immagine scattata dalla Nasa nel 2022.

Dal 2022 al 2024, i ghiacciai hanno registrato la più grande perdita triennale mai registrata. Secondo il World Glacier Monitoring Service (WGMS), i ghiacciai al di fuori della Groenlandia e dell’Antartide hanno perso oltre 9.000 miliardi di tonnellate di ghiaccio dal 1975, equivalenti a un blocco di ghiaccio spesso 25 metri delle dimensioni della Germania. Nel solo 2024, i ghiacciai hanno perso complessivamente 450 miliardi di tonnellate.

La Terra vista dallo spazio mostra tutte le sue fragilità. Dal confronto tra le due immagini satellitari in figura, la “Blue Marble” del 1972 e l’immagine scattata dalla Nasa nel 2022 in occasione dei cinquant’anni, sono evidenti i cambiamenti climatici in atto: il Pianeta è visibilmente mutato. Si nota come il fenomeno della desertificazione nell’Africa sahariana e del sud abbia divorato ampie parti del territorio prima vegetate. E, visibile, è anche la deforestazione e lo scioglimento dei ghiacciai.

Un altro aspetto significativo, è il consumo delle risorse naturali del Pianeta, negli ultimi anni aumentato in modo spaventosamente vertiginoso. Il 1 agosto è stato l’Earth Overshoot Day 2024, la data in cui il pianeta ha utilizzato tutte le risorse naturali dell’intero anno e inizia il debito ecologico. Consumiamo una volta e mezza le risorse che il Pianeta è in grado di generare in un anno.

Gli indicatori climatici chiave (Key Climate Indicators)

Gli indicatori climatici chiave o Key Climate Indicators (per una panoramica, vedere Trewin et al. 2021) forniscono un’ampia visione del cambiamento climatico su larga scala, che comprende la composizione dell’atmosfera, i cambiamenti energetici e le risposte della terra, dell’oceano e del ghiaccio. Questi indicatori sono strettamente correlati tra loro.

Ad esempio, l’aumento della CO2 e altri gas serra porta al riscaldamento dell’atmosfera e dell’oceano (il cosiddetto surriscaldamento globale). Il riscaldamento dell’oceano, a sua volta, porta all’innalzamento del livello del mare, a cui si aggiunge lo scioglimento del ghiaccio sulla terraferma in risposta all’aumento delle temperature atmosferiche.

Indicatori climatici chiave (fonte: JKC)
Indicatori climatici chiave (fonte: JKC)

Il sistema climatico globale è complesso, costellato di numerose variabili, dati e numeri. Per sviscerare tale complessità e poter descrivere il cambiamento climatico, l’Organizzazione Mondiale Metereologica utilizza 7 indicatori climatici chiave:

  1. Anidride carbonica atmosferica
  2. Temperatura media globale (della superficie terrestre)
  3. Contenuto di calore oceanico
  4. Livello medio del mare
  5. pH oceanico
  6. Bilancio di massa dei ghiacciai
  7. Estensione del ghiaccio marino

Osservando la variazione dei sette indicatori climatici nel tempo, in un arco temporale cha va da decenni a oltre un secolo, appare evidente il contributo dell’uomo al cambiamento climatico, principalmente dovuto all’uso massiccio dei combustibili fossili. Vediamoli tutti.

  1. Anidride carbonica atmosferica

I cambiamenti climatici sono in stretta relazione con l’effetto serra. Alcuni gas presenti nell’atmosfera terrestre agiscono un po’ come il vetro di una serra: catturano il calore del sole impedendogli di ritornare nello spazio e regolano la temperatura del Pianeta. E questo è positivo perché permette alla Terra di non raffreddarsi troppo. Ma negli ultimi anni la concentrazione di questi gas nell’atmosfera è cresciuta a tal punto da innescare il surriscaldamento del Pianeta.

Secondo il sesto rapporto del Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (IPCC) del 2023, le emissioni di gas serra derivanti dalle attività umane – attività che includono la combustione di combustibili fossili (carbone, petrolio e gas), la deforestazione e l’agricoltura – sono responsabili del riscaldamento globale. L’anidride carbonica costituisce il 74% delle emissioni di gas serra. La stragrande maggioranza (92%) di queste proviene dall’uso di combustibili fossili.

 

Concentrazioni di gas serra stimate da misurazioni effettuate nel periodo 1984-2023 (WMO).
Concentrazioni di gas serra stimate da misurazioni effettuate nel periodo 1984-2023 (WMO).

La concentrazione di anidride carbonica (CO2) nell’atmosfera ha raggiunto un nuovo record massimo nel 2023 (ultimi dati disponibili). Con 420 parti per milione (ppm), che corrisponde alla massa totale di 3.276 Gt di CO2 nell’atmosfera, il 151% in più rispetto al 1750 (era preindustriale). Anche le concentrazioni di metano (CH4) e protossido di azoto (N₂O), altri due gas serra chiave, hanno raggiunto livelli record nel 2023. La concentrazione di CH4 ha raggiunto 1.934 parti per miliardo (ppb), il 265% dei livelli preindustriali, e quella di N₂O ha raggiunto 336,9 ppb, il 125% dei livelli preindustriali. I dati in tempo reale mostrano che i livelli di CO₂, CH4 e N₂O sono continuati ad aumentare nel 2024.

L’aumento della concentrazione di CO₂ in atmosfera causato dall’uomo è il principale fattore del cambiamento climatico (responsabile di circa il 66% del forzante radiativo di tutti i gas serra a lunga durata dal 1750 e di circa il 79% dell’aumento registrato nell’ultimo decennio). Le attuali concentrazioni di anidride carbonica sono le più elevate degli ultimi 2 milioni di anni. La quota di CO2 emessa dalle attività umane che rimane nell’atmosfera è nota come frazione atmosferica.

Le concentrazioni atmosferiche di CO₂ riflettono un equilibrio tra fonti (emissive) e pozzi di CO₂ (assorbenti). Le fonti antropiche di CO₂ sono legate alla combustione di combustibili fossili e alla produzione di cemento, nonché ai cambiamenti nell’uso del suolo come la deforestazione. I pozzi di CO2 includono l’assorbimento da parte della vegetazione e dell’oceano.

  1. Temperatura media globale della superficie terrestre

Il 2024 è stato l’anno più caldo di sempre (nei 175 anni di osservazione registrati): la temperatura media globale annua della superficie terrestre è stata di 1,55 °C (± 0,13) superiore alla media del periodo 1850-1900. L’anno più caldo precedente è stato il 2023, con un’anomalia di 1,45 °C (± 0,12). Ciascuno degli ultimi dieci anni, dal 2015 al 2024, è stato singolarmente il decimo anno più caldo mai registrato.

Temperature medie globali nel periodo 1850-2024 (WMO).
Temperature medie globali nel periodo 1850-2024 (WMO).

Sebbene è allarmante che per la prima volta la temperatura del pianeta ha superato la soglia di 1,5 °C (considerata critica dagli scienziati), questo non significa che abbiamo fallito gli obiettivi dell’Accordo di Parigi di mantenere il riscaldamento globale al di sotto di 1,5 °C: non sono infatti misurati su un singolo anno, ma da una stima media spalmata su un periodo di 20 anni. Questo però è un primo allarme da prendere sul serio.

Le temperature avevano già raggiunto livelli record nel 2023: in ogni mese tra giugno 2023 e dicembre 2024, le temperature medie globali mensili hanno superato tutti i record mensili precedenti al 2023.

  1. Contenuto di calore oceanico

Il 90% del calore extra associato al riscaldamento globale è assorbito dagli oceani. Il contenuto di calore oceanico, di cui le prime registrazioni strumentali risalgono circa al 1960, è perciò un altro indicatore dei cambiamenti climatici. Nel 2024, il contenuto di calore oceanico globale ha stabilito un nuovo record, superando di 16 ZJ ± 8 (ZettaJoule) il precedente record del 2023. Gli ultimi otto anni hanno tutti infranto i precedenti record. Il tasso di riscaldamento degli oceani negli ultimi due decenni (2005-2024), circa 11,6 ZJ all’anno, è più del doppio di quello osservato nel periodo 1960-2005 (circa 3,6 ZJ all’anno).

Contenuto di calore oceanico globale nel periodo 1960-2024 (WMO).
Contenuto di calore oceanico globale nel periodo 1960-2024 (WMO).

L’ultimo rapporto del Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (IPCC) ha certificato l’aumento del contenuto di calore oceanico dagli anni ’70, confermandone l’influenza umana, la causa antropica. Pressoché stabile in precedenza, dal 1971 al 2024 il contenuto di calore degli oceani globali è aumentato a un tasso medio di 6,8 ZJ all’anno.

Il tasso di riscaldamento rivela la rapidità con cui il sistema terrestre sta intrappolando l’energia in eccesso sotto forma di calore. Di tale energia, circa il 5% riscalda la terraferma, l’1% riscalda l’atmosfera e il 4% riscalda e scioglie la criosfera. Tuttavia, la maggior parte, circa il 90%, contribuisce al riscaldamento dell’oceano.

I cambiamenti nella temperatura globale degli oceani sono irreversibili per centinaia di anni, e le proiezioni climatiche mostrano che il riscaldamento degli oceani continuerà per il resto del XXI secolo e oltre, anche in scenari a basse emissioni. Il riscaldamento degli oceani ha conseguenze devastanti, come il degrado degli ecosistemi marini, la perdita di biodiversità e la riduzione del pozzo di carbonio oceanico. Alimenta tempeste tropicali e subtropicali e aggrava la continua perdita di ghiaccio marino nelle regioni polari. Il riscaldamento degli oceani, insieme alla perdita di ghiaccio sulla terraferma, sta causando l’innalzamento del livello del mare.

  1. Livello medio del mare

Il tasso di innalzamento del livello del mare a lungo termine è più che raddoppiato dall’inizio delle rilevazioni satellitari, passando da 2,1 mm all’anno tra il 1993 e il 2002 a 4,7 mm all’anno tra il 2015 e il 2024. Nel 2024, il livello medio globale del mare ha raggiunto un livello record: dal 1900, a livello globale, il livello del mare si è alzato di circa 20 centimetri, di cui la metà solo negli ultimi 30 anni.

Innalzamento del livello del mare negli ultimi 50 anni
Fonte WMO

Il riscaldamento degli oceani provoca l’espansione delle acque e l’innalzamento del livello medio globale del mare. Anche lo scioglimento dei ghiacciai sulla terraferma contribuisce all’innalzamento del livello del mare. Poiché il riscaldamento degli oceani continuerà per secoli anche se le emissioni di gas serra cessassero, il livello del mare continuerà a salire con la stessa scala temporale.

Le variazioni del livello del mare hanno effetti di vasta portata sulle aree costiere e sulle comunità. L’innalzamento del livello del mare porterà impatti a cascata e cumulativi, con conseguenti perdite di ecosistemi costieri e servizi ecosistemici, salinizzazione delle falde acquifere, inondazioni e danni alle infrastrutture costiere. Tali impatti si traducono in rischi per i mezzi di sussistenza, gli insediamenti, la salute, il benessere, la sicurezza alimentare e idrica nel breve e lungo termine.

  1. pH oceanico

Assorbendo anidride carbonica dall’atmosfera, l’oceano si sta acidificando. Circa un quarto della CO2 emessa dalle attività umane nel decennio 2014-2023 è stata assorbita dall’oceano. Questo processo ha causato un cambiamento nella composizione chimica dei carbonati dell’oceano, con conseguente calo del pH. Il pH dell’oceano è superiore a 7, quindi l’acqua dell’oceano rimane leggermente alcalina, ma la diminuzione del pH osservata è definita acidificazione degli oceani.

A livello globale, il pH della superficie oceanica è variato a un tasso di -0,017 unità di pH per decennio nel periodo 1985-2023. Il tasso di variazione del pH è coerente con la stima dell’ultimo rapporto IPCC.

pH dell'Oceano nel periodo 1985-2023
pH dell’Oceano nel periodo 1985-2023

A livello regionale, l’acidificazione degli oceani non è proceduta in modo uniforme. Le diminuzioni più intense del pH superficiale regionale si osservano nell’Oceano Indiano, nell’Oceano Antartico, nell’Oceano Pacifico equatoriale orientale, nel Pacifico tropicale settentrionale e in alcune regioni dell’Oceano Atlantico. In queste aree, che rappresentano il 47% dell’oceano globale campionato, la superficie oceanica sta diventando più acida a un ritmo più rapido rispetto alla media globale.

È ampiamente dimostrato che l’acidificazione degli oceani sta influenzando la vita marina. Le risposte degli organismi marini agli effetti combinati di acidificazione, riscaldamento degli oceani e deossigenazione si verificano a diversi livelli metabolici per gruppi diversi e includono stress respiratorio e riduzione della tolleranza termica. Gli effetti dell’acidificazione degli oceani sull’area dell’habitat, sulla biodiversità, sulla funzione degli ecosistemi e sui servizi ecosistemici sono già stati chiaramente osservati, e la produzione alimentare derivante dall’acquacoltura e dalla pesca di molluschi è stata negativamente influenzata.

Anche le barriere coralline di acque calde e le coste rocciose, dominate da organismi immobili e calcificanti che producono gusci e scheletri, come coralli, cirripedi e cozze, sono influenzate dalle temperature estreme e dalle variazioni di pH: l’84% dei coralli mondiali è colpito da sbiancamento.

  1. Bilancio di massa dei ghiacciai

I dati sul bilancio di massa dei ghiacciai – la quantità di massa guadagnata o persa dai ghiacciai – per l’anno idrologico 2023/2024 (settembre-agosto), sebbene non ancora completi (disponibili al 90%), segnalati annualmente dal World Glacier Monitoring Service indicano che è stato un altro anno di bilancio di massa estremamente negativo a livello mondiale.

Bilancio di massa dei ghiacciai dal 1950 al 2024
Bilancio di massa dei ghiacciai dal 1950 al 2024

Il bilancio di massa del ghiacciaio, ovvero la quantità di massa acquisita o persa dal ghiacciaio, è comunemente espresso come la variazione di spessore annuale media sull’area del ghiacciaio, espressa in metri equivalenti d’acqua (un metro equivalente d’acqua corrisponde a circa una tonnellata per metro quadrato). La perdita di ghiaccio dai ghiacciai ha contribuito per circa il 21% all’innalzamento totale del livello del mare nel periodo 1993-2018, circa la metà del contributo dovuto al riscaldamento degli oceani (42%). Bilanci di massa eccezionalmente negativi si sono verificati in Norvegia, Svezia, Svalbard e nelle Ande tropicali, una perdita che conferma una tendenza all’accelerazione della perdita di massa dei ghiacciai, che si prevede si aggirerà intorno a –1,1 metri equivalente d’acqua. Gli ultimi tre anni rappresentano il bilancio di massa triennale più negativo mai registrato, e 7 dei 10 anni con il bilancio di massa più negativo dal 1950 si sono verificati a partire dal 2016.

I bilanci di massa dei singoli ghiacciai sono influenzati da variazioni di temperatura, precipitazioni, umidità e nuvolosità. Il Sesto Rapporto di Valutazione dell’IPCC (AR6) ha concluso che l’influenza umana è molto probabilmente il principale fattore del ritiro globale dei ghiacciai a partire dagli anni ’90, affermando che “la natura globale del ritiro dei ghiacciai a partire dagli anni ’50, con quasi tutti i ghiacciai del mondo che si ritirano in sincronia, è senza precedenti almeno negli ultimi 2.000 anni“.

I ghiacciai si formano dalla neve che si è compattata formando ghiaccio, che poi si deforma e scorre a valle. I ghiacciai comprendono due zone: una zona di accumulo, in cui l’accumulo di massa dovuto alle nevicate supera la perdita di ghiaccio, e una zona di ablazione, in cui la perdita di ghiaccio (ablazione) dovuta allo scioglimento e ad altri meccanismi supera l’accumulo. I tassi di scioglimento sono anche fortemente influenzati dall’albedo del ghiacciaio, la frazione di luce solare riflessa dalla superficie del ghiacciaio: il ghiaccio esposto al sole è più scuro e quindi ha un’albedo inferiore rispetto al manto nevoso stagionale. La ridotta copertura nevosa, le lunghe stagioni di scioglimento e l’attività degli incendi boschivi espongono il materiale più scuro sulla superficie del ghiacciaio, diminuendone l’albedo e aumentando così il tasso di scioglimento.

  1. Estensione del ghiaccio marino

L’estensione del ghiaccio marino è definita come l’area dell’oceano con almeno il 15% di copertura di ghiaccio. Variazioni a lungo termine nell’estensione del ghiaccio marino artico sono state osservate durante tutto il ciclo stagionale. La tendenza al ribasso dell’estensione minima del ghiaccio marino artico dal 1979 al 2024 si attesta intorno al 14% della media decennale del periodo 1991-2020, equivalente a una perdita di ghiaccio marino di 77.000 km² all’anno.

L’estensione del ghiaccio marino nelle regioni antartica e artica nel 2024 è stata al di sotto delle rispettive medie del periodo 1991-2020 durante l’intero anno. L’estensione minima giornaliera del ghiaccio marino nell’Artico nel 2024 è stata di 4,28 milioni di km² (11 settembre), la settima estensione più bassa nei 46 anni di registrazione satellitare. Questo valore è inferiore di 1,17 milioni di km² rispetto alla media dell’estensione minima giornaliera del periodo 1991-2020. I 18 minimi più bassi registrati dai satelliti si sono verificati tutti negli ultimi 18 anni.

Estensione del ghiaccio marino dell'Artico nel periodo 1991-2020
Estensione del ghiaccio marino dell’Artico nel periodo 1991-2020

L’estensione minima giornaliera del ghiaccio marino nella regione antartica nel 2024 è stata di 1,99 milioni di km² il 20 febbraio, il che si è attestato al secondo posto tra i minimi più bassi registrati dai satelliti e ha segnato il terzo anno consecutivo in cui l’estensione minima del ghiaccio marino antartico è scesa sotto i 2 milioni di km². L’estensione del ghiaccio antartico è rimasta al di sotto della media del periodo 1991-2020 per tutto l’anno e ha raggiunto la sua massima estensione giornaliera annuale di 17,16 milioni di km² intorno al 19 settembre. Il massimo osservato è stato di 1,55 milioni di km² al di sotto della massima estensione giornaliera media del ghiaccio antartico dal 1991 al 2020 ed è il secondo massimo di estensione del ghiaccio più basso mai registrato; solo nel 2023 è stato inferiore.

Il ghiaccio marino è acqua marina congelata che galleggia sulla superficie dell’oceano. La copertura di ghiaccio marino si espande nelle regioni polari della Terra ogni autunno e inverno, poiché l’acqua dell’oceano si congela in risposta al raffreddamento dell’atmosfera e dell’oceano. Il riscaldamento estivo scioglie gran parte di questo ghiaccio stagionale, con minimi annuali di ghiaccio marino in ciascun emisfero tipicamente registrati a fine estate o inizio autunno (settembre nell’emisfero settentrionale, febbraio nell’emisfero meridionale). Le variazioni della copertura di ghiaccio marino possono influenzare la circolazione oceanica, le dinamiche atmosferiche e il riscaldamento superficiale.

Modelli globali di temperatura e precipitazioni

Il report del WMO restituisce anche i modelli globali di temperatura e precipitazioni, dai quali emerge con chiarezza le anomalie dei cambiamenti climatici negli ultimi trent’anni.

In vaste aree tropicali, dall’America meridionale e centrale a est fino al Pacifico occidentale, sono state osservate temperature medie annue record. La maggior parte delle aree terrestri era più calda nel 2024 rispetto alla media del periodo 1991-2020, anche di fuori dei tropici (America settentrionale orientale, Nord Africa, Europa, e Asia meridionale e orientale). Le temperature della superficie del mare hanno raggiunto livelli record nell’Atlantico tropicale e settentrionale, nell’Oceano Indiano tropicale, in alcune parti del Pacifico occidentale e in alcune parti dell’Oceano Antartico.

Modello globale delle temperature: anomalie nel periodo 1991-2020
Modello globale delle temperature: anomalie nel periodo 1991-2020

Anche le precipitazioni sono influenzate dai cambiamenti climatici. Nel 2024, condizioni più secche della media (1991-2020) sono state osservate su gran parte dell’Africa meridionale, in alcune località costiere dell’Africa occidentale e lungo la costa nordafricana; ampie zone del Sud America, dalle pianure amazzoniche e dalle Ande settentrionali alle zone umide del Pantanal; il Messico nordoccidentale, alcune isole dei Caraibi e parti del Nord America settentrionale; aree lungo la costa meridionale dell’Australia, le parti settentrionali della Nuova Zelanda, della Nuova Caledonia e le isole centrali e orientali della Polinesia hanno registrato precipitazioni inferiori alla norma; anche l’Europa meridionale e sudorientale è stata più secca del solito.

Modello globale delle precipitazioni: anomalie nel periodo 1991-2020
Modello globale delle precipitazioni: anomalie nel periodo 1991-2020

Viceversa, parti della regione del Sahel, dell’Africa centrale e meridionale orientale, l’Europa centrale e occidentale sono state più umide del normale. Le isole occidentali della Polinesia, la Melanesia settentrionale, così come la Nuova Zelanda meridionale, parti dell’Australia orientale e settentrionale, l’arcipelago canadese e alcune località intorno al Golfo del Messico sono state più umide della media. Precipitazioni totali superiori alla norma sono state osservate in ampie zone dell’Asia nord-orientale, orientale e centrale e, in misura minore, anche nell’Asia sud-orientale, meridionale e sud-occidentale.

Eventi ad alto impatto

Per comprendere la portata dei cambiamenti climatici, basta considerare la sempre maggior frequenza e intensità degli eventi meteorologici e climatici estremi, ad alto impatto ambientale e socioeconomico. Ormai non capita giorno che in qualche parte del Mondo accada qualcosa di terribile. Il 2024 è stato un altro anno dei record, in aumento a livello globale tutte le calamità naturali: cicloni tropicali, siccità e incendi, bombe d’acqua e alluvioni, ondate di calore. Oltre alla distruzione di abitazioni, infrastrutture critiche, foreste, terreni agricoli e biodiversità, questi eventi meteorologici estremi minano la resilienza e rappresentano rischi significativi per le persone. Con conseguenze critiche per la salute delle persone (feriti e vittime) e per la sicurezza alimentare (resa minore in agricoltura e aumento dei prezzi) che generano sfollamenti e migrazioni.

Cambiamento climatico e alluvioni

I cicloni tropicali sono stati responsabili di molti degli eventi di maggiore impatto del 2024. Il tifone Yagi all’inizio di settembre ha toccato il Vietnam settentrionale dopo aver attraversato le Filippine e le zone più meridionali della Cina, lasciando sul suo cammino vittime e sfollati. Negli USA, gli uragani Helene e Milton sulla costa occidentale della Florida, hanno avuto un impatto economico di decine di miliardi di dollari e oltre 200 vittime. In Mozambico, il ciclone Chido ha causato circa 100.000 sfollati, distrutto case e danneggiato gravemente strade e reti di comunicazione.

Consumo di suolo e cementificazione uniti l’avanzare dei cambiamenti climatici, sono le principali cause di alluvioni e frane nei contesti urbani. Gravi inondazioni a inizio 2024 sono avvenute in Afghanistan e le aree limitrofe del Pakistan e dell’Iran, oltre che in Africa orientale (Kenya e Tanzania), con ingenti perdite di vite umane, sfollamenti, distruzione di terreni coltivati ​​e perdita di bestiame. Critica l’alluvione di inizio maggio nel Brasile meridionale: le intense piogge hanno inondato vaste aree della città di Porto Alegre, con oltre 200 vittime ed effetti significativi sull’agricoltura e sulla pesca. Il 29 ottobre, piogge estreme hanno provocato inondazioni improvvise nella regione di Valencia, in Spagna: in un’ora sono caduti 185 mm di pioggia, arrivati in sei ore a 621 mm (più di quanta ne cade normalmente in un intero anno). Altri morti (228) e ingenti danni (stimati in oltre 17 miliardi di euro). Anche da noi, sono tristemente note le alluvioni dell’Emilia Romagna del 2023 e 2024. Se consideriamo che per mettere tutta l’Italia al sicuro dalle alluvioni servono 26 miliardi, pensando a Valencia, forse non sono poi così tanti.

Nel 2024 si sono verificate numerose ondate di calore significative (nelle città il fenomeno è amplificato dal cosiddetto effetto “isola di calore”), scarsità di piogge e siccità in tutte le zone del mondo, dall’Asia all’Africa, America, Medioriente e Mediterraneo, con impatti significativi sull’agricoltura e sulla produzione idroelettrica. Numerosi anche gli incendi distruttivi in tutto il pianeta, favoriti da caldo anomalo e condizioni più secche della vegetazione che ne agevolano la propagazione. Secondo l’OMS, tra il 2000 e il 2019, a livello globale sono stati registrati circa 489mila decessi l’anno legati al caldo (175mila nella sola Europa).

E nel nostro Paese? La situazione non va meglio. E non c’è da meravigliarsi se consideriamo la fragilità dell’Italia dal punto di vista del dissesto idrogeologico e che il Mediterraneo è tra luoghi al mondo più sensibili ai cambiamenti climatici. Secondo l’Osservatorio Città Clima di Legambiente, per il terzo anno consecutivo si sono verificati oltre 300 gli eventi meteo estremi in Italia, arrivando nel 2024 a quota 351 (+485% rispetto al 2015). In aumento tutti i danni: da siccità prolungata (+54,5% rispetto al 2023), da esondazioni fluviali (+24%) e allagamenti (+12%).

Siamo certi che siano gli esseri umani la causa dei cambiamenti climatici?

Gli esseri umani sono responsabili del riscaldamento del clima. Tutto il riscaldamento osservato dall’era preindustriale è il risultato delle attività umane, come conferma l’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), il principale organismo internazionale per la valutazione dei cambiamenti climatici a cui contribuiscono migliaia di ricercatori provenienti da tutto il mondo. L’aumento dei livelli di gas serra, come l’anidride carbonica, nell’atmosfera dovuto alle attività umane, è una delle principali cause del cambiamento climatico. L’uso dei combustibili fossili è una delle principali fonti di emissione di gas effetto serra è responsabile del riscaldamento globale e dell’aumento delle temperature. Su questo, gli scienziati non hanno dubbi.

Cambiamento nella temperatura superficiale globale dal 1850

In realtà, le emissioni di gas serra prodotte dalle attività umane avrebbero riscaldato la Terra ancora di più, per un totale di circa 1,5°C ma, il loro effetto riscaldante, è stato in parte contrastato dalle emissioni di inquinanti atmosferici, chiamati aerosol o polveri sottili, che hanno mediamente un effetto raffreddante sul clima.

Come facciamo a sapere che il riscaldamento globale non ha un’origine naturale? Perché le cause naturali in grado di influenzare la temperatura globale su scale temporali brevi (da anni a decenni) non hanno agito in modo significativo dall’era preindustriale a oggi. Un esempio di causa naturale sono le eruzioni vulcaniche, che possono raffreddare la temperatura globale per alcuni anni, ma non alterano la temperatura su scale temporali molto più lunghe. Il Grafico (in figura) mostra come i gas serra, gli inquinanti atmosferici (aerosol) e le cause naturali hanno influenzato la temperatura media globale dal 1850. Solo includendo l’aumento di gas serra prodotti dall’uomo i modelli di simulazione climatica riescono a riprodurre le temperature osservate. Questo è uno dei modi con cui sappiamo che l’uomo è responsabile del riscaldamento del clima.

Che cosa si può ancora fare?

Il Rapporto WMO si conclude con messaggio incoraggiante, una nota positiva: nonostante il preoccupante quadro attuale, l’obiettivo di contenere il riscaldamento globale entro 1,5°C, è ancora raggiungibile. Per farlo, però, è necessario un impegno immediato e concreto da parte di tutti i governi, attraverso misure di mitigazione e di adattamento ai cambiamenti climatici. Investire in energie rinnovabili, ridurre le emissioni e potenziare i sistemi di allerta precoce sono le uniche strade per limitare i danni e garantire un futuro più sicuro e sostenibile alle prossime generazioni.

L'importanza degli alberi per contrastare il cambiamento climatico

Sebbene non tutti noi inquiniamo alla stessa maniera (i ricchi inquinano molto di più), ognuno può fare la sua parte. Vivere, abitare e costruire in armonia con la natura e in modo sano: ad esempio, in alternativa all’acciaio e al cemento armato (estremamente inquinanti) sposare la bioedilizia, prediligendo sistemi costruttivi a secco, strutture in legno, case che consumano poche risorse sia nel momento della loro costruzione che durante il loro ciclo di vita nel loro uso quotidiano (efficienti e salubri), con impianti termici o di climatizzazione ad alto rendimento come le pompe di calore, e case passive o NZEB abbinate alle energie rinnovabili (fotovoltaico, agrivoltaico, eolico, solare termico).

Per un futuro sostenibile, per tenere sotto controllo il riscaldamento globale e i suoi effetti devastanti, ridurre l’inquinamento e l’impatto ambientale fino a raggiungere l’obiettivo della neutralità climatica (che l’UE si è data al 2050), occorre anzitutto ridurre l’uso dei combustibili fossili come gas, carbone e petrolio. Oltre all’auto elettrica – in alternativa ai motori a combustione – e le batterie ricaricabili per la transizione energetica, c’è bisogno di ridurre i consumi e la produzione dei rifiuti – soprattutto in plastica – e dell’abbigliamento a basso costo o fast fashion.

Un uso consapevole delle risorse del pianeta, in primis l’acqua (preferendo ove possibile, l’acqua potabile del rubinetto a quella in bottiglia che rilascia plastica e microplastiche nell’ambiente), riducendo gli sprechi, migliorando la raccolta differenziata, il riuso dei prodotti e il riciclo delle materie prime dei rifiuti elettronici (RAEE), rispetto allo smaltimento in discariche o per incenerimento dei rifiuti e scegliendo le alternative ecologiche ai PFAS, un futuro sostenibile è ancora possibile.

Considerato il momento storico belligerante, la corsa globale agli armamenti, le recenti guerre in Ucraina e Palestina, il parlare di conflitti in Europa, la minaccia nucleare e conoscendo l’impatto ambientale sociale ed economico delle guerre, il bisogno di pace è ancora più urgente .

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